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Mare & Vitoska 2012, Edi Kante e le cose come stanno

La VI edizione di Mare & Vitovska, complice una meravigliosa giornata di sole, si è potuta riappropriare della sua sede naturale, ovvero quel parco del Castello di Duino, a strapiombo sul mare Adriatico, che fa della manifestazione giuliana uno degli eventi enogastronomici più suggestivi al mondo. Il pubblico, come sempre numerosissimo, non ha resistito al richiamo di quel vino intenso che sa di roccia e bora e che naturalmente si esalta negli abbinamenti con i prodotti tipici del territorio triestino (formaggi, prosciutto crudo, pesce del golfo e naturalmente all’olio d’oliva Targeste DOP). La manifestazione ha avuto un prologo in mattinata nella cantina di Benjamin Zidarich, con la degustazione alla cieca di 24 Vitovska dell’annata 2011 (di produttori del carso italiano e sloveno) condotta da Sandro Sangiorgi. Al castello invece nel pomeriggio, prima dell’apertura al pubblico, si è svolto un interessante seminario tecnico intitolato: “Vitovska, figlia della Glera? Tracce di storia e ricerca ampelografica del vitigno più provocante e autentico del Carso. “Tra i relatori Manna Crespan, ricercatrice del C.R.A Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, sezione Centro di Ricerca per la Viticoltura (CRA-VIT), Sandro Sangiorgi, giornalista enogastronomico e fondatore della rivista indipendente Porthos, Veit Heinichen, scrittore tedesco, vincitore di numerosi premi nazionali e internazionali, ultimo tra i quali il Gran Premio Noè (2012), profondo conoscitore e ambasciatore del Carso nel mondo. Questa la fredda cronaca! Naturalmente per un appassionato come me il momento clou, di quest’edizione della manifestazione giuliana, è stata la degustazione alla cieca delle 24 Vitovska dell’annata 2011, molto formativa e con un intervento finale di Edi Kante a dir poco folgorante. È stata una degustazione impegnativa e controversa perché stiamo parlando di vini che verranno immessi sul mercato come minimo tra un anno, quindi parliamo di un’idea di vino. Francamente non amo particolarmente questo tipo di degustazioni, definite “en primeur”, trovo che possano rappresentare un pericolo per i produttori perché corrono il rischio che il degustatore possa farsi un’idea sbagliata del liquido che ha nel bicchiere. Per questo motivo trovo anche inopportuno esprimere giudizi ma naturalmente questo è un problema mio.  Sta di fatto, però, cha alcuni dei 24 vini erano scomposti e in alcuni casi presentavano dei veri e propri difetti. Poi se parliamo di Kante, Zidarich (la sua Vitovska e immediatamente riconoscibile), Cotar, il livello è già altissimo adesso ma i dubbi restano. A tale proposito mi ha confortato l’illuminante intervento del grande Edi Kante, che meno diplomatico di altri e con la franchezza che l’ha sempre contraddistinto, non ha negato la sua difficoltà nell’assaggio di alcuni campioni. In sostanza Kante ha posto ai degustatori una domanda che definirei epocale e che per essere conciso era più o meno questa: “ Va bene la tradizione, va bene la naturalità, ma siamo andati avanti per tornare indietro, rifacendo i vini di trenta, quarant’anni fa?”. Naturalmente mi è subito venuto in mente il famoso inciso Veronelliano: “Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale” che sarà pur vero ma per quanto mi riguarda, non è il vino che voglio e che ricerco e per questo ringrazio quel cantiniere di razza Edi Kante per aver detto le cose come stanno!

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