
È palese che la degustazione comparativa tra Metodo Classico ottenuti da uve autoctone, organizzata da Liliana Savioli e Franca Bertani presso la Tenuta Roletto a Cuceglio, avesse come unico obiettivo quello di esaltare le qualità dell’Erbaluce di Caluso nella versione spumante. Sapevano le due astute ragazze che tra gli 11 campioni degustati alla cieca ne sarebbe uscito a testa alta. Infatti, due Erbaluce sono stati tra gli assaggi migliori (Silva 2009 e il Brut 2010 di Tenuta Roletto) anche se la Palma d’oro è stata assegnata quasi all’unanimità a un’incredibile (per il vitigno dico) Ribolla Gialla Ronco Vieri Brut Metodo Classico di Vigneti Pittaro. Ma inizierei dal principio della storia. Siamo nel Canavese, la zona di produzione comprende un centinaio di comuni della provincia di Torino, la meta, in questo caso, è Cuceglio, una quarantina di chilometri da Torino e una decina da Caluso. Ed è proprio l’Erbaluce di Caluso il focus del viaggio. Vitigno dal nome affascinante, ammantato anche di leggenda: “Dall’amore impossibile nacque Albaluce, ninfa stupenda e triste, dea di perfezione, le cui dolci lacrime versate per gli uomini regalarono alla terra un frutto dorato, l’Erbaluce”.
Antonino Iuculano vulcanico proprietario della Tenuta Roletto crede nell’Erbaluce a tal punto da farsene ambasciatore anche all’estero : Cina Stati Uniti, addirittura Nigeria, per fare qualche esempio. Non solo, coadiuvato dall’indispensabile lavoro di un enologo giovane, appassionato e molto preparato come Gianpiero Gerbi, ha coinvolto anche all’Università di Torino nel progetto di rilancio dell’Erbaluce. Vitigno versatile per definizione che è possibile trovare in ben 3 declinazioni: fermo, con risultati davvero sorprendenti nel lungo periodo. Ho bevuto il base della Tenuta Roletto del 2009 davvero entusiasmante per non parlare del Mulinè 2010, la selezione di Roletto, vino dalle gradi prospettive. Poi c’è il Metodo Classico. L’annata 2010, che come dicevo prima, è stata tra i migliori assaggi della degustazione comparativa tra metodo classico italiani da uve autoctone e poi il Passito, saggiato in varie annate, non teme confronti con i più grandi per tipologia in giro per il mondo.
Tra l’altro solo la visita alla Passitaia di Roletto vale il viaggio. Un vino di nicchia l’Erbaluce? Chissà, sicuramente una chicca su cui puntare e che spero possa ripercorrere la strada del Timorasso e diventare un autoctono italiano davvero importante. Per meglio contestualizzare il discorso Erbaluce ho rivolto all’enologo Gianpiero Gerbi, qualche domanda. Sono emersi spunti davvero interessanti come ad esempio l’esistenza di zone vocate libere e vitabili e terreni a prezzi accessibili. Chi ha due soldi messi da parte mediti.
Gianpiero quali sono (se ci sono) i luoghi comuni che ti danno più fastidio sull’Erbaluce di Caluso
Ahimè qualche luogo comune c’è. Dopo gli anni 70 in Piemonte le cantine hanno incominciato ad assecondare la crescente domanda di vini bianchi, figlia di un cambio di costumi e consumi, una domanda che nasceva in seno ad anni complessi, dove la contestazione generazionale ha portato i giovani verso il consumo di vini bianchi, freschi poco impegnativi, in contrasto con il tradizionale consumo di vino rosso. In questo contesto i vitigni bianchi in Piemonte sono diventati una risorsa anche per il mercato. Purtroppo alcune denominazioni hanno avuto un’espansione troppo rapida a discapito della qualità. Nel suo piccolo l’Erbaluce, che fino ad allora era un vitigno raro destinato alla produzione del passito, vede un forte incremento di produzione, non seguita da un’essenziale ricerca della qualità. “Troppo acida l’Erbaluce” si sentiva dire dai clienti e dai tecnici, un luogo comune assolutamente da sfatare. L’erbaluce ha un’acidità importante che va studiata e gestita fin dalla vigna. Dagli anni 90 grazie agli studi della Facoltà di Agraria di Torino si è compreso molto di questo vitigno, oggi quest’acidità è una delle caratteristiche ricercate, ad esempio il mercato statunitense, che fino a qualche anno fa amava i bianchi ricchi ed opulenti, oggi ricerca soprattutto i “Crispy white”, vini secchi dall’acidità fresca, come i riesling e l’erbaluce.
A che punto siamo della storia di questa DOCG, quali sono i limiti che ancora vedi e naturalmente quali le prospettive
Siamo a un passo dal giro di boa, ma è il passo più difficile, oneroso e faticoso. Una docg piccola ma dal carattere unico, ha bisogno di un coordinamento forte che la possa portare oltre i limiti del suo innato provincialismo. In venti anni i vini sono migliorati enormemente, sono nate piccole giovani realtà, ci sono figure tecniche e imprenditoriali valide, insomma ci sono i presupposti per fare bene, manca ancora quel cambio di mentalità indispensabile per entrare nel mondo dei vini importanti. La prospettiva è quella di crescere, l’area a denominazione è ampia, molte delle zone vocate sono ancora libere e vitabili, il mercato dei terreni e delle vigne ha prezzi accessibili e gli investimenti hanno ottime prospettive, c’è lo spazio per crescere.
Vitigno versatile l’Erbaluce, può essere prodotto nella versione spumante metodo classico, fermo e passito. Raccontami le tre tipologie e dimmi qual è l’espressione dove l’Erbaluce diventa o potrebbe diventare un fuoriclasse assoluto
L’erbaluce è un vitigno dall’acino particolare, ha una buccia molto spessa e croccante, ricca di polifenoli, mentre la polpa è ricca di acidità e acidi idrossicinnamici, composti antiossidanti pregiati. Credo che il passito, la versione più tradizionale e storica delle tre, sia quella, dove l’erbaluce possa già competere a livelli altissimi. L’Erbaluce di Caluso DOCG passito è un prodotto da invecchiamento lunghissimo, negli ultimi anni abbiamo assaggiato delle annate molto vecchie (90, 85, per non parlare del 68 e del 55) di alcuni produttori storici. Vini non solo piacevoli, ma soprattutto emozionanti. Il metodo classico è in rampa di lancio, grazie al trend positivo delle bollicine italiane che sta creando curiosità anche sul metodo classico più rari e particolari, le nostre bollicine incominciano a essere presenti in degustazioni importanti, al fianco di Franciacorta e Trentodoc. Dobbiamo ancora creare un po’ di credibilità sul mercato, i clienti vogliono sentire che la qualità è alta tutt’e le annate, ma è solo questione di tempo, dobbiamo solo continuare a lavorare come stiamo facendo, puntando alla qualità assoluta. La versione bianco fermo è la sfida più dura, assaggiando i vini della denominazione, che negli ultimi anni hanno visto un salto qualitativo notevole, non c’è ancora quella riconoscibilità del vitigno che caratterizza una denominazione e la fa percepire come credibile e vincente. Ogni produttore sta percorrendo strade diverse, chi ha scelto l’affinamento in legno, chi ricerca complessità con la criomacerazione, ci vorrà ancora qualche anno di sperimentazione per capire quale sia la via giusta per “estrarre” il carattere di questa varietà.