
La sala degustazioni del Palaexpo di Vinitaly non è certo il luogo ideale per l’assaggio e, nonostante la verve di chi conduce il tasting, Claudia Bondi nel caso specifico, il rumore di fondo della folla che prende letteralmente d’assalto il padiglione Lombardia è davvero fastidioso. L’occasione però vale ben altri sacrifici perché Biondelli, come dicono gli anglofoni, è the next big thing, la prossima grande cosa in Franciacorta. È Joska Biondelli a raccontare la storia della sua azienda, coadiuvato dall’enologo Cesare Ferrari per le questioni di vendemmia e lavoro di cantina. Joska è uomo d’altri tempi, aspetto fisico e aplomb non tradiscono le sue antiche origini aristocratiche. Per qualche anno ha lavorato nella City di Londra, facendo il cacciatore di teste, ma poi alla luce artificiale e giallognola di un ufficio ha preferito riavvicinarsi alla sua antica storia di famiglia che vedeva i Biondelli possidenti terrieri e commercianti. Fu il nonno di Joska, Giuseppe Biondelli, dopo la seconda guerra mondiale, ad acquistare la cantina cinquecentesca di fronte al Castello di Bornato e a piantare le prime viti. L’opera verrà poi completata da suo papà Carlottavio, che oltre ad aumentare gli ettari vitati ristruttura ed amplia l’attuale cantina. L’impressione che si ricava ascoltando le parole di Joska e assaggiando i suoi vini è che l’esordio (la prima annata è del 2010) nel mondo del metodo classico della Cantina Biondelli sia avvenuta partendo da basi solide e ragionamenti ponderati, ricercando con la giusta ossessione anche una certa sobrietà. Non c’è in Biondelli, come non di rado accade per molti prodotti della Franciacorta, la necessità smaniosa di soddisfare giovani avventori di wine bar alla moda, ma c’è la ricerca di una prospettiva, in poche parole la ricerca di uno stile come elemento distintivo.

I vini
Quattro i vini in degustazione, provenienti dai cru Nave e Paini, tutti ottenuti da uve Chardonnay in purezza.
Biondelli Franciacorta- Première Dame Millesimato 2010, il primo vino delle nuove cantine Biondelli. Nessuna aggiunta di liquer, un dosaggio zero con 40 mesi sui lieviti. L’idea è di far uscire il vino solo quando l’annata lo consente, la 2010 era una di queste. Naso delicato di agrumi, albicocca, fiori bianchi, erbe aromatiche e leggere note di burro. In bocca l’acidità è prorompente, di bella struttura e grande piacevolezza. Appassionante (e appasionerà).
Biondelli Franciacorta Satèn. Dall’annata 2011, seconda vendemmia Biondelli, 30 mesi sui lieviti. Al naso l’impatto è di note floreali e poi miele e pasticceria. In bocca sempre bella l’acidità con una nota finale di liquirizia che è un po’ il leitmotiv dei vini Biondelli. Interessante anche la sintonia tra naso e bocca per un Satèn poco dosato (4 grammi litro) che riconcilia con la tipologia e allontana gli stereotipi.
Biondelli Franciacorta Brut. Non esce come millesimato, tuttavia le uve sono quelle della vendemmia 2011, 20 mesi sui lieviti per un dosaggio di 6 g/l. È un naso di note floreali anche se colpisce subito la liquirizia per poi fare posto a pesca bianca e mela, pasticceria e leggera torrefazione. In bocca delicato e elegante.
In fine Joska Biondelli ha portato alcune bottiglie di Brut non millesimato, ottenuto da uve della vendemmia 2012 e sboccate nel mese di gennaio 2015. Naturalmente si è trattato di un’anteprima, il vino non è sul mercato. L’obiettivo era certamente saggiare l’annata più calda 2012 e confrontarla con la 2011, ma Joska ha voluto dimostrare di quanta grande materia prima dispone (e non è finita qui perché in cantina ci sono vasche a riposo per future Cuveè) tanto per continuare con i ragionamenti in prospettiva. La differenza tra una grande cantina e una tra le tante è tutta qui, questione di stile.
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