Irene Graziotto per La stanza del vino

Seconda parte del mio viaggio nel tacco enologico, il mio descensus ad Inferos senza Sibilla. Ma al mio ritorno avrei recato parimenti meco il ramo d’oro, la nuova conoscenza infusa e una bottiglia per rinfrescare la memoria qualora fosse capitato di cadere nel Lete.
Quattro tenute con terreni che passano dalla componente sabbiosa a quella argillosa, sotto l’unico marchio di Tenute Rubino (BR). Realtà abbastanza giovane ma con le idee molto chiare, sia a livello di promozione della cantina che dell’intero territorio. Il consorzio Puglia Best Wine nasce infatti con la volontà di portare avanti in maniera collettiva un programma di conoscenza delle grandi potenzialità della Puglia, dei suoi vitigni e dei suoi vini. A Tenute Rubino scopro il Susumaniello Oltremé Igt Salento 2014: nota vegetale, un accenno di peperone e poi ribes e mirtillo, nota speziata, al sorso morbidezza bilanciata da una bella nota sapida, derivante dalla posizione vicina al mare perché è qui che questo vitigno che rischiava di scomparire dà il meglio di sé.

Promozione del territorio a tutto tondo anche ad Ognissole Tenute di Cefalicchio (BA). Qui l’approccio al vino, da sempre insito nel territorio, abbraccia l’ideologia biodinamica nei primi anni Novanta, ottenendo nel 1992 la certificazione Demeter e punta sul Nero di Troia e sul Moscato Reale. Il suolo chiaro della vigna, dove emergono sprazzi di calcarinite, viene scassato per sessanta centimetri di profondità e fra i filari si pratica inerbimento e tutela della biodiversità utile anche in cucina. Infatti, la rucola selvatica vista nel campo, la ritroviamo a condimento delle orecchiette strascinate di grano arso durante un pranzo che accanto alla produzione enologica aziendale ha saputo dare spazio alla più autentica gastronomia locale, con piatti anche poveri e desueti – e quindi tanto più rari – quali il pancotto con le rape, le frittelle di lampascione, la purea di cicerchia e cicoria. “Jalal” Moscato Bianco Tenuta di Cefalicchio 2011: giallo dorato, ventaglio aromatico varietale – l’azienda usa lieviti indigeni – ma che si spinge oltre, su note di miele, fiori gialli, un accenno di balsamico, flora costiera, basilico, artemisia. L’attacco è dolce, poi arrivano sapidità e freschezza. L’annata 2014 è invece guidata dalla nota minerale iodica e l’agrumato, con un decoro di erbe aromatiche, quali timo e dragoncello. Sorso pulito, lineare.

Dal mare Adriatico allo Ionio qui il passo è breve, giusto il tempo di un abbiocco in bus con la speranza di ricavare un piccolo spazietto per il prossimo pasto – ringrazio in merito i cuochi che si sono prodigati per allargare la mia conoscenza gastronomica pugliese e pure la taglia dei jeans, il ristorante Penny di Brindisi dove la freschezza del pesce si traduce in morsi di mare, Casale Ferrovia, un’ex stazione ferroviaria, con la sua cucina fatta di sapori riconoscibili e mise ricercate, i cuochi della Masseria Bagnara con il loro pesce in carta fata, in grado di originare la stessa segreta libido di scoprirne il contenuto che suscitano le uova di Pasqua.
Arriviamo infine a San Marzano (TA) fondata come cooperativa agricola nel 1962, rifondata dopo la crisi degli anni Settanta con la volontà di costruire una realtà in grado di rispondere alle sfide del tempo in termini di qualità e sperimentazione pur con numeri quantitativamente importanti. Oggi i soci sono 1000 e sono 160 gli ettari, l’80% della produzione finisce in bottiglia e viene esportata in 70 stati, la cantina possiede un proprio laboratorio interno di analisi e le uve vengono rigorosamente classificate al loro arrivo per seguire poi percorsi diversi. “Edda Lei” Bianco Salento Igp 2014 da 80% Chardonnay e 20% Moscato che vengono in parte appassite, sentori agrumati, mandorla, leggero ricordo saponato e in bocca una freschezza che spiazza per la sua importanza, sebbene edulcorata dalla morbidezza. E con l’immagine del fiore, logo della cantina, chiudo il racconto della rinascita che ho potuto toccare con mano nelle lande pugliesi.
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