Vino furbo o vino vero? Se lo sputi forse non lo saprai mai


Nel volumetto di leggera profondità che è il libro “Le Parole del vino” del giornalista Fabio Rizzari, curatore, assieme a Ernesto Gentili, della guida “I Vini d’Italia” pubblicata dall’Espresso, c’è un punto della lettura davvero illuminante a riguardo della distinzione tra vino furbo e vino vero, così Fabio Rizzari nelle pagine 114 e 115: “Delle molte differenze che un palato allenato può cogliere tra un vino costruito a tavolino, ammiccante, e un vino vero, ce n’è una decisiva. Lasciamo perdere i profumi, le sfumature aromatiche, il così detto naso, che pure ha grande importanza. L’arco gustativo che un vino disegna è anche più rivelatore. Un vino furbo, velleitariamente ambizioso, ha un attacco perentorio, quasi arrogante. Lascia intendere chissà quali doti, chissà quale intensità. Ma nel giro di pochi secondi si affloscia su se stesso. Si spegne, si rivela una sorta di fondale teatrale, dietro al quale c’è poco o niente. Così sono molti rossi superpotenti e superboisè, che non mantengono le promesse del primo impatto gustativo. Sono insomma vini che compiacciono soltanto la parte anteriore del palato, la più facile da sedurre, e anche la più infantile. Il vino vero segue spesso – non sempre, spesso – un tracciato del tutto diverso. Per quanto preciso, netto, il cosiddetto attacco di bocca è discreto, quasi reticente. Soltanto da centro bocca in poi rivela, in modo graduale ma sicuro, più incisività, più energia motrice, più profondità. Fino a disegnare un arco gustativo amplissimo e un finale irradiante- l’opposto del vino furbo, quindi: là un fondale di cartapesta (un guappo di cartone…), qui un esordio quasi timido, incerto, ma una progressione implacabile e un finale lungo e luminoso”. Mentre leggevo queste righe nella mia mente si affacciavano, in un montaggio serrato, le immagini crude dei vini che, dopo un breve/medio giro di bocca, ho visto sputare in questi anni. Nessuna deglutizione, nessun finale degno di tal nome ad adorarne o a bocciarne senza appello la trama. Sia ben chiaro, nessuna voglia di disquisire per l’ennesima volta sul senso dello sputare, sulla necessità o disdicevolezza. Semplicemente, e senza spocchia, condividendo carnalmente le parole di Fabio Rizzari, m’interrogavo quanto in questi anni professionisti della degustazione, con assaggi seriali compiuti sputando, hanno dimenticato l’importanza del finale, non godendo di quel “finale irradiante”, scegliendo un vino furbo ( magari decretandone anche il successo) anziché un vino vero, ma credo di scoprire l’acqua calda.


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