
Fino a che non ci vai fisicamente, del Giglio ti restano impresse solo le immagini della nave. Isola di struggente bellezza violata da umana cattiveria e stupidità per ben due volte: nel 1976 subì il soggiorno obbligato di orditori di trame nere e nel 2012 uno sciagurato portò alla morte 32 persone e conseguenti frotte di guardoni del disastro. Adesso che il relitto non c’è più il Giglio si è riappropriata della sua anima. Isola di struggente bellezza dicevo: la collina che domina l’orizzonte della Baia delle Cannelle; la strada selvaggia, a picco sul mare, per raggiungere a piedi la spiaggia delle Caldane, non c’è altro modo se non in barca. Giglio Castello e la sua Rocca da dove si scorge l’Isola di Montecristo, avvolta da una misteriosa foschia nonostante una giornata lucente e limpida. Poi il vino. La tradizione vitivinicola del Giglio ha radici in un passato remoto, ne parlava già Petrarca nel 1358 nel suo “Itinerarium”. L’isola fino alla fine dell’Ottocento conosce un periodo piuttosto florido per la produzione e la diffusione di vino, poi l’abbandono e la fillossera azzerano i vigneti. Il vitigno principe è l’autoctono a bacca bianca Ansonica, meglio conosciuto sull’isola come Ansonaco. Pare abbia importanti affinità con le uve greche Rhoditis e Sideritis e questo fa pensare che la sua origine venga dall’Ellade. I vignaioli eroici che producono vino al Giglio si contano sulle dita di una mano e tra questi ho avuto la fortuna di assaggiare 3 annate dell’IGT Toscana Bianco “Senti oh!” dell’Azienda Agricola Fontuccia di proprietà dei fratelli Giovanni e Simone Rossi. La cantina, che ha iniziato l’attività nel 2006, deve il nome all’omonima amena località lungo la strada che sale verso Giglio Castello. La produzione si limita a 2 vini: l’IGT Toscana Bianco “Senti oh!” (prima annata in commercio 2009) ottenuto da uve Ansonaco in purezza, il cui nome deriva da un tipo modo di dire gigliese che indica allo stesso tempo ironia e meraviglia, affiancato dal 2010 da poche centinaia di bottiglie del passito ‘Nantropò, sempre da uve Ansonaco.
Tre annate di Senti oh!
Senti oh! 2011 – 100% uve Ansonica
Oro nel bicchiere, è proprio il caso di dirlo un colore magnifico. Il naso se pur intenso nei profumi ne rivela una certa indolenza. Muschio, alghe, frutta surmatura. La bocca si arricchisce con una nota di foglia di tè e nonostante una bella acidità e un fascino innegabile, l’impressione principale che se ne ricava è che il vino non sia nel suo momento migliore.
Senti oh! 2012 – 100% uve Ansonica
Il colore oro è sempre una gioia per gli occhi anche se leggermente meno intenso del 2011. Al naso ritroviamo tutti i profumi del 2011, muschio, alghe, frutta matura (melone e pesca); il tutto appare però più vivo e pimpante. In bocca si ripropone la foglia di tè, bella la sapidità mentre l’acidità è meno presente rispetto al 2011. In definitiva un gran bel vino, forma assolutamente smagliante, da bere adesso senza aspettarlo troppo.
Senti oh! 2013 – 100% uve Ansonica
Eccolo, il bicchiere che un bianchista spera sempre di trovare. Sorprende subito per opulenza. Il naso trova il mare, salsedine, alghe, muschio, frutta tropicale. In bocca si muove su equilibri perfetti, sapidità, acidità e finale lunghissimo. Innamorarsi di un vino, un grande bianco italiano, non c’è che dire. In definitiva non credo che la longevità sia una caratteristica peculiare del Senti Oh! ma tutto ciò conti davvero poco. Se cercate una bottiglia che vi restituisca intatta la fatica e la magia di un vino isolano, il Senti Oh 2013 è vino imperdibile.
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