
La Calabria enoica sta raccogliendo quello che merita? Se vogliamo fermarci solo agli esiti delle principali guide di settore si nota una certa costipazione nel concedere riconoscimenti, eccetto che per Vini Buoni d’Italia che in questo senso è sicuramente più generosa. Eppure c’è grande fermento in tutta la regione ed è indubbio che nel corso degli ultimi anni la qualità del vino calabrese sia cresciuta in maniera esponenziale. Tra gli esempi più folgoranti, si perdoni il ricorso all’enfasi, c’è la cantina L’Acino Vini a San Marco Argentano in provincia di Cosenza, siamo nella Piana di Sibari, tra lo Jonio e il Tirreno, tra il Pollino e la Sila. Chora Bianco (Mantonico, Guarnaccia bianca, Greco), Chora Rosso (Magliocco, Guarnaccia nera e Greco nero), il macerato MantonicOZ (Mantonico 100%), Toccomagliocco (Magliocco 100%.), senza dimenticare il nuovo nato Asor un rosè da uve Magliocco 100%, sono vini che non lasciano indifferenti. Per saperne di più e anche per parlare di vini calabresi andando oltre la retorica degli antichi fasti della Magna Grecia, ho rivolto qualche domanda a Dino Briglio Nigro, che assieme a Antonello Canonico e Emilio Di Cianni gestisce la Società Agricola L’Acino.

Dino, dimmi tutto de L’Acino Vini, chi siete, cosa portate e quanti siete, giuro che poi non ti chiedo un fiorino
Siamo tre soci, facevamo altro nella vita fino al 2006.
La prima vendemmia è stata il 2007, e ci siamo lanciati in questa attività senza fare o commissionare business plan, siamo sempre stati poco “calcolatori”, per formazione e per indole, e non dico che questo sia un pregio.
Pensavamo che potesse esserci altri rispetto al panorama dei vini della provincia di Cosenza, non per forza dei vini migliori ma certamente diversi, bisogna dire che ne 2007 c’era davvero poco in provincia di Cosenza, poi più o meno in contemporanea con la nostra cantina ne nascono tante, in genere piccole ma a volte con la profusione di mezzi ingenti, o comunque con mezzi finanziari ben più cospicui dei nostri ( e ci vuole poco ).
Attualmente in provincia di Cosenza saranno più di 60 le aziende vitivinicole che imbottigliano.

Senza scomodare la Questione Meridionale ma, anzi, restando sul prosaico, sono arrivato in Calabria un po’ prevenuto, salvo per poi rendermi conto che su alcuni aspetti, legati alla progettualità in ambito enogastronomico ad esempio, siete molto forti, anzi direi avanti. Ho come l’impressione però che voi calabresi facciate un po’ fatica a godere delle vostre meraviglie e a valorizzarle, mi sbaglio?
In Calabria dici che siamo avanti o forse siamo, in maniera sana, arretrati, come ibernati , in alcuni territori in particolare fermi a qualche decennio fa.
Il “progresso” non è sempre positivo, quando è voluto essere improvviso e calato dall’alto, ha creato danni enormi, si potrebbe fare un viaggio anche solo per vedere la fabbrica- mostro sul mare, bellissimo in tutta la zona, della Liquichimica di Saline Joniche, con annesso porticciolo, mai entrata in funzione, magari andarci anche per vedere le distese di bergamotti nelle fiumare o le icone nelle chiesette bizantine.
La mia impressione è che ci sia un regresso economico ed anche culturale, lento e continuo, certamente è tutta l’ Italia ad essere da qualche anno sempre meno una Nazione dinamica e in decadenza, la Calabria però è stata una regione dinamica, ed in parte lo è, più di quanto si pensi, in posti impensati trovi esempi di “ archeologia industriale”, aziende che hanno funzionato davvero, fondate coi soldi di imprenditori e non dello Stato, appena esci dalla Basilicata il Pastificio D’ Alessandro a Mormanno, piccolo paese del Pollino, chiuso nel 1980, per andare più indietro nel tempo il militante anarchico Bruno Misefari, geologo, fondò negli anni Venti una “ Società Vetraria Calabrese” con caratteri innovativi, fu arrestato e inviato al confino e la fabbrica chiuse dopo pochi anni, tra gli anni Venti e Trenta funzionò, per dieci anni, a Locri una fabbrica metalmeccanica che fabbricò alcune parti del Transatlantico Rex e poi motociclette, chiuse dopo dieci anni.
Il fondatore su arrestato per reati finanziari e poi definitivamente assolto da ogni accusa, ma intanto la fabbrica, con 200 operai era chiusa.
Cito a caso entità “recenti” per evitare un pianto neobornonico, che ha pure elementi di verità.
Trovo fastidioso, anche quando si parla di vino, non trovare di meglio che citare un passato lontano, quello della Magna Grecia, come se poi non fosse esistito altro.
C’erano cantina che a fine Ottocento o distribuivano i loro vini in altri posti in Italia, li esportavano in America, produttori che inviavano i loro vini all’ Expo di Parigi .
Tutto questo è stato spazzato via, dalla modernità…dalle banche o da altro…
E’ rimasto un tessuto vitale, anche e soprattutto in campo agricolo, ma è l’ infinitamente piccolo, le microproduzioni, che è difficile si possano fare arriva a centinaia di chilometri dal luogo di produzione, se parliamo di cose che hai mangiato in qualche giorno di vacanza.
Definiamo cosa è o non è artigianale, non c’è gourmet che a Natale non compri ad un prezzo importante un panettone artigianale, qualche giorno fa leggevo di una protesta di Fiasconaro, che minaccia, denunciando la burocrazia del proprio comune delle Madonie, di trasferire la propria attività in Piemonte, leggo di un milione di panettoni prodotti e di 120 dipendenti, mi chiedo se i suoi panettoni, ottimi tra l’altro, possano definirsi artigianali.
Il vino rispetto ad altri prodotti, da consumare freschi o più difficili da far viaggiare, anche se di produzioni limitate, può circolare, altre cose vanno consumate in Calabria.
Mi sembra grottesco in qualche fiera di vini naturali, trovare il banchetto in cui qualcuno porta pagnotte, proponendo un salto indietro nel tempo, facendo assaggiare un pane fatto con il lievito madre come qualcosa di mistico.
In provincia di Cosenza, su 155 comuni, saranno 50 i forni che fanno in pane con il lievito madre ( una minoranza comunque ) e restano 10 o 15 mulini che macinano a pietra, mangiare del pane buono e pagarlo al massimo 3 euro al chilo è la normalità.

Come sai vivo non lontano da una terra che ha grande tradizione per i macerati, vini non facilissimi e che spesso hanno la tendenza ad essere un po’ tutti uguali, salvo poi bere le bottiglie di Skerlj, Skerk, Zidarich, Gravner, Radikon e Podversic, in grado di farti innamorare perdutamente di questa tipologia. Gioia di bere e vitalità che ho ritrovato anche nel vostro Montonicoz 2011, uno dei macerati più buoni che mi sia capitato di assaggiare negli ultimi tempi. Raccontami di lui, da dove arriva l’idea di fare un vino così?
Citi i nomi di produttori di vini che amiamo molto, non sono mai stati per noi modelli da imitare, semplicemente perché non abbiamo modelli, purtroppo.
Mi spiego meglio, abbiamo iniziato a vinificare quel Mantonico il 2008, c’erano un altro paio di esempi di vino da Mantonico in purezza in Calabria, ma molto diversi, per via dell’ altitudine, del clone di Mantonico e molto altro.
Abbiamo iniziato con grande curiosità e anche grandi aspettative, un po’ di anni prima Veronelli aveva scritto grandi cose su questo vitigno, aveva raccomandato ai produttori italiani di piantarlo per fermare l’ avanzata dello Chardonnay in tutta Italia, probabilmente se ne erano già dimenticati quasi tutti di questi articoli, Veronelli è diventato per molti l’ icona, da citare per un paio di frasi ad effetto.
Dietro il Mantonicoz non c’è il protocollo di un enologo, c’è la voglia di sperimentare, per questo in una futura piccola verticale troverai delle piccole differenze tra un ‘ annata e l’ altra, del resto è un lavoro in cui non può esistere la ” serialità ” dell’ industria.
Speravamo in un vino decisamente longevo, cosa che sosteneva Veronelli, ma il principale obiettivo è sempre stato un vino sano, autentico, diverso dagli altri.
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