Schiopetto, la storia del vino italiano è passata da Capriva


Il sole sta andando giù dopo una giornata bellissima ma adesso a Capriva si è alzato un leggero vento freddo, siamo pur sempre a febbraio. Sto per salire in macchina, ancora qualche parola con Giorgio Schiopetto; non so quale strano giro fanno i discorsi e finiamo a parlare di Mario, non ne avevamo ancora parlato dando per scontata la sua presenza, ovunque!  Chi è ammalato di vino come me sa cosa vuol dire parlare di Mario Schiopetto con suo figlio Giorgio sull’uscio del Palazzo dell’Arcivescovado di Capriva (sede della cantina). Per chi non lo immagina tento un paragone che so già essere ardito: immaginate di essere un Beatles dipendente, avete appena finito la visita allo Strawberry Fields Memorial assieme a Sean Lennon e vi fermate a parlare con lui di suo padre John sotto il Dakota Building, ecco, una cosa così. Mario Schiopetto dicevo; nel vino di oggi si fa fatica a raccontare di uomini, è più semplice parlare delle facezie che ci girano attorno, eppure gli uomini che hanno lasciato un segno restano e Mario è uno di loro. Si accostano spesso al suo nome parole come pioniere, maestro, pignolo, ossessivo, e non è un vuoto esercizio di stile, la storia dell’enologia italiana passa, senza dubbio, anche da Capriva.  Come definire chi fu tra i primi a vinificare in bianco e che già nel 1967 usava la refrigerazione nella fermentazione? Come definire un vignaiolo che già nel 1972 usava la pressa per ottenere una pigiatura soffice e la vinificazione in assenza di solforosa? La pignoleria di Mario arrivava al punto di parcheggiare la propria auto di fronte alla cantina con il portellone aperto per passarvi la notte in attesa delle fermentazioni. Questo Mario, ma sarebbe ingiusto parlare solo di lui. Oggi sono i figli Maria Angela, Carlo e Giorgio a portare avanti l’azienda con lo stesso stile paterno mettendoci la loro visione e sensibilità; infatti, non è un caso che qui siano stati eliminati da anni gli antiparassitari a favore di una lotta naturale agli agenti patogeni. Quindi, biologici? Biodinamici? No, l’atteggiamento nei confronti di quella che rischia di diventare l’ennesima moda è piuttosto disincantato, si fa e basta, senza troppa pubblicità, piuttosto si preferisce affidare la cura delle vigne a quel genio di Marco Simonit, il resto è noia.

I Vini assaggiati

Tutti i vini che ho assaggiato in cantina a Capriva avevano un comune denominatore: incredibile pulizia ed eleganza, grande struttura e un riconoscimento del terroir piuttosto netto. Tra l’altro ho avuto la fortuna di assaggiare anche qualche annata meno recente, a dimostrazione che questi vini con il tempo acquistano una complessità che lascia davvero stupefatti.

Pinot bianco Doc Collio 2004: naso complesso, avvolgente

Pinot bianco Doc Collio 2007: più floreale del 2004, sapido e fresco

Blanc Des Rosis bianco 2001 (uvaggio di uve di Tocai Friulano, di Pinot Grigio, di Sauvignon, di Malvasia Istriana e di Ribolla Gialla.); nasce dalla precisa volontà di rappresentare in un vino unico la ricca realtà viticola della zona di appartenenza. Questo 2001 ha acquistato con gli anni una tale complessità che si fa presto a definirlo capolavoro.

Blanc Des Rosis bianco 2007: ecco la mineralità (ogni volta che incontro questa parola, ho sempre paura di scrivere una bestialità vista la ritrosia di molti a usarla, ma non saprei come altro definire quello che ho sentito al naso); grande vino.

Friulano Doc Collio 2008: il Tocai friulano dei miei sogni, elegante, complesso ma soprattutto tipico.

Tocai Doc Collio 1998: bellissima freschezza, complessità, eleganza, vino stupendo.

Mario Schiopetto bianco 2006: Questo vino è ottenuto dall’assemblaggio di due diversi vitigni, lo Chardonnay, prodotto nella tenuta aziendale dei Colli Orientali del Friuli e il Tocai Friulano, vitigno coltivato nel Collio Goriziano. Classe ed eleganza!

Mario Schiopetto bianco 2003: paga l’annata caldissima, con il 2006 c’è una differenza netta al naso ha causa dell’annata molto calda, note burrose invadenti, mentre in bocca il vino è già più riconoscibile.

Sauvignon 2007: Non sono un grande amante del sauvignon troppo esuberante; questo invece è elegantissimo, mai volgare nei profumi, bellissima freschezza. Giorgio mi fa un paragone che qui non posso riferire, lo tengo per me.

Podere dei Blumei Rosso 2006 (Merlot 70%, Refosco 25%, Cabernet Sauvignon 5%): Naso intenso di frutta rossa matura, bel corpo. Il rosso più importante dell’azienda prodotto nei colli orientali i 3000/4000 bottiglie; un vino di razza.

Il vino è una malattia dell’anima: nessun carattere tiepido può occuparsene, otterrebbe solo bottiglie senza personalità. La vigna è il primo scenario di una rappresentazione drammatica che ammette solo la catarsi alla fine della storia. E ogni anno l’eroe rinnova una lotta che, se gli porta un insegnamento, non è mai quello definitivo. Ci si approssima alla saggezza, alla perfezione, non la si raggiunge mai!

(Tratto dalla monografia su “Mario Schiopetto”, di Mario Mariani, i Semi di Veronelli editore 2002)

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