
Non mi sono reso conto subito di aver conosciuto Giovanna Maccario. C’è voluto mezzo viaggio di ritorno dalla Toscana (eravamo entrambi a San Gimignano per l’educational sulla Vernaccia) perché realizzassi la cosa. Certo che è davvero bizzarro, incontri una bravissima produttrice, scambi qualche parola con lei ma sei talmente concentrato su altro (i bicchieri neri di Davide Bonucci, la degustazione comparata di Simome Morosi, la tintoria non mi aveva portato il tight, le cavallette…) che non dai il giusto peso alla situazione: perché, signore e signori, Giovanna Maccario e suo marito Goetz Dringenberg fanno da uve Rossese in purezza, il Posaù, uno dei migliori rossi italiani. Anche se non ho parlato con Giovanna quanto avrei voluto, un ultimo barlume di razionalità m’ha messo di fronte ai suoi imperdibili Rossese di Dolceacqua che aveva portato in degustazione a San Gimignano. L’azienda Maccario Dringenberg è una “piccola” realtà produttiva situata a San Biagio della Cima in provincia d’imperia, gli ettari vitati, tutti di proprietà, sono quattro. Le origini dell’azienda risalgono addirittura alla fine del 1800; infatti, con Giovanna, siamo arrivati alla quinta generazione che prosegue il discorso avviato dal trisnonno Giovanni Antonio Maccario.

Mario Soldati, nel suo “Terzo Viaggio” effettuato nel 1975 in terra ligure, in occasione dell’assaggio del Rossese di Dolceacqua, ebbe a dire che per gustare e capire veramente il vino bisogna trovarsi in un luogo estraneo al vino stesso (lui era in una chiesa sconsacrata) e lo paragonava alla grande musica in grado di imporsi e di arrivare anche in mezzo al rumore! Ho assaggiato i tre Rossese di Giovanna nella bolgia infernale e festosa di una cena toscana dove si faceva veramente fatica a capire le parole di chi ti sedeva accanto; eppure in quel convivio tumultuoso, mentre degustavo i vini, ho sentito una specie d’onda tumultuosa che arrivava ad emozionarmi: Mario Soldati aveva ragione.
I Vini degustati
I Rossese di Dolceacqua di Giovanna fanno solo acciaio a dimostrazione che anche senza l’apporto del legno si possono ottenere risultati straordinari.
Rossese di Dolceacqua DOC 2010
Da un anno in bottiglia. Giovanna dice che non è ancora pronto! Al naso frutti rossi maturi (fragola, ciliegia). In bocca il tannino è lieve e la morbidezza notevole; non oso immaginare come sarà quando diverrà “pronto”.
Rossese di Dolceacqua Superiore Vigneto Posaù 2010
Proveniente da un cru di settant’anni ad anfiteatro in posizione sud est, scosceso e situato a un’ altitudine 250 slm. Un capolavoro! Mi ha sorpreso ed emozionato con la sua classe e la sua opulenza. Al naso frutta rossa matura e note intense di spezie. Morbido e lungo. Da riassaggiare anche tra vent’anni.
Rossese di Dolceacqua Superiore Vigneto Luvaira 2010
Vigneto esposto a sud ovest, su un altipiano a 330 slm, sono tre parcelle una delle quali ha oltre 100 anni. Al naso frutti di bosco maturi, spezie, note animali, decisamente più balsamico degli altri. Ricco e persistente, un’altra opera d’arte.
A completare la gamma della cantina Maccario il Serro del Bandito, un metodo classico che fa 12 mesi sui lieviti, fatto con uve Massarda o Tabarka, vitigno autoctono bianco ligure, importato dai genovesi dall’isola di Tabarca a nord della Tunisia, che m’incuriosisce non poco visti i risultati ottenuti con i rossi. Poi il Rossese a bacca bianca che esce in bottiglia con il nome di Lady Dringenberg e un’altra tipologia di Massarda da vendemmia tardiva che è commercializzata con il nome di Dark Lady. Infine dal 2013 uscirà anche il vino ottenuto dal terzo cru aziendale, il Curli: una vigna storica che Veronelli definì “la Romanée Conti italiana”. Giovanna, caso mai i Maya avessero ragione, lo farà assaggiare en primeur dalla vasca il 21 dicembre 2012, il modo migliore per salutare la fine del mondo, ne converrete.
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