
Ebbene confesso, ho partecipato alla manifestazione “Nero di Troia – La Disfida Enologica Wine Challenge”. Ho fatto parte, assieme a giornalisti del calibro di Antonio Paolini, Andrea Gabrielli e altri, della giuria tecnica che ha decretato il vincitore del gioco (importante sottolineralo) – sfida tra i vini italiani e quelli francesi. Premetto che abbiamo degustato i vini rigorosamente alla cieca, ne conoscevamo soltanto la tipologia, nemmeno a confronto ultimato sono stati divulgati ufficialmente e pubblicamente i nomi delle 26 aziende partecipanti. Dopo il post al vetriolo di ieri di Antonio Tomacelli su Intravino, ho riflettuto a lungo se pubblicare o no il mio pezzo. Alla fine ho deciso per il sì, lo pubblicherò così come l’avevo scritto. Ho fatto 1600 km in 32 ore per in Nero di Troia e per partecipare ad una manifestazione che ho reputato interessante, non certo per farmi fotografare con i vip o presunti tali. Spero solo che tutte queste polemiche non siano frutto di faide interne o regolamento di conti, il vino pugliese non ne ha bisogno, non è il momento. Per tutte le altre questioni poste da Tomacelli credo sia opportuno l’intervento degli organizzatori.

La disfida del Nero di Troia
Indubbiamente è finito il tempo dei barocchismi e dei sentori snocciolati come litanie quando si racconta il vino. Meglio riservare tecnicismi, tal volta esasperati, ai momenti accademici o alla didattica. Il rischio concreto, altrimenti, è di allontanare sempre di più chi cerca nel vino il puro piacere edonistico e un piacevole compagno per il cibo. Oggi più che mai, per recuperare il consumatore distratto, ma anche per coinvolgere maggiormente l’appassionato più autentico, il vino deve accompagnarti in un viaggio in un tempo e in un luogo. Deve avere una storia da raccontare per saperti comunicare l’unicità del terroir dal quale proviene. L’autoctono Nero di Troia, senza nessuna pretesa di esclusività ovviamente, possa incarnare alla perfezione lo spirito di un luogo incantevole come la Puglia. Per accendere i riflettori su questo vitigno poco conosciuto al di fuori della Daunia, all’interno del Progetto Integrato di Filiera denominato “Filiera Vitivinicola Pugliese del Nero di Troia”, finanziato dalla Regione Puglia con i fondi del PSR 2007-2013, il 2 settembre scorso al Castello di Barletta è andata in scena la manifestazione ideata da Stefano Remigi: “Nero di Troia – La Disfida Enologica Wine Challenge”. Proprio per rievocare l’epico duello cavalleresco tra tredici cavalieri italiani e altrettanti francesi, che si svolse il 13 febbraio 1503, e farne metafora per comunicare il concetto che i nostri vini e vitigni non temono il confronto con i transalpini, gli organizzatori hanno invitato in Puglia tredici DOC italiane capitanate dal padrone di casa, il Nero di Troia, per confrontarle con altrettante AOC di Francia. Dei vini, scelti da Roberto Cipresso e degustati rigorosamente alla cieca, si conosceva soltanto la tipologia, nemmeno a confronto ultimato sono stati divulgati ufficialmente i nomi delle aziende.

Non credo sia importante sapere chi ha vinto la disfida che è stata un gioco, serio, ma pur sempre un gioco e come tale va interpreta. Protagonisti assoluti della serata sono stati il Nero di Troia sul quale, nel corso della manifestazione, è stato presentato anche il bel cortometraggio del regista Michael Loos e i piatti di quel grande interprete della cucina pugliese che è Peppe Zullo. Certo se ci sarà una seconda edizione della Disfida potrebbe essere interessante affiancare alla tenzone, che può tornare utile al Nero di Troia per confrontarsi con altri vitigni, momenti di formazione e informazione per gli addetti ai lavori. Come? So di scoprire l’acqua calda, ma incontri con i produttori, degustazioni orizzontali e visite alle cantine permetterebbero di avere una visione più ampia e meno frammentata rispetto al territorio e agli interlocutori.

Le origine del Nero di Troia
Secondo alcuni studi il Nero di Troia sarebbe originario dell’Asia Minore (Troia) ed importato dagli antichi Greci in Puglia. Omero, nell’Iliade, descrive un vitigno che parrebbe assomigliare proprio all’Uva di Troia. Secondo altri sarebbe Cruja, città albanese, la sua terra d’origine. Secondo altri ancora pare vi sia la possibilità che il Nero di Troia sia arrivato nel foggiano con la dominazione spagnola della città. Si fa riferimento al governatorato della giurisdizione di Troia di Don Alfonso d’Avalos, originario della regione gallizio-catalana della Rioja. Pare che i suoi nuovi possedimenti avessero le caratteristiche idonee alla coltivazione della vite, per cui decise di impiantarvi dei vigneti, ed in particolare una varietà di vite proveniente dal suo paese di origine, che acquistò in breve tempo la fama di Nero di Troia. Quest’ultima ipotesi, però, non trova conferma nell’attuale panorama ampelografico della Rioja. Le diverse possibilità dell’origine contribuiscono ad arricchire di fascino e di mistero il vitigno e il vino che da esso deriva. Sulla coltivazione dell’Uva di Troia nei secoli passati non si sa molto, infatti le prime informazioni relative a questa cultivar risalgono al XIX secolo. La coltivazione dell’Uva di Troia prese piede nella metà dell’800. Nel 1882, infatti, la Rivista di Viticoltura ed Enologia pubblicò la prima descrizione scientifica del Nero di Troia.
Il Nero di Troia è presente nelle seguenti DOC:
Cacc’e Mmitte di lucera Doc dal 1975. Caratteristico di: nella provincia di Foggia a Lucera, Troia e Biccari. Da uve di: dal 35 al 60% di Uva di Troia, dal 25 al 35% di Montepulciano, Sangiovese, Malvasia Nera di Brindisi, dal 15 al 30% di Trebbiano Toscano, Bombino Bianco e Malvasia del Chianti.
Castel del Monte Doc dal 1971. Caratteristico di: Minervino Murge, Andria, Corato, Trani, Ruvo, Terlizzi, Bitonto, Palo del Colle, Toritto e Binetto (provincia di Bari). Da uve di: Uva di Troia, Aglianico o Montepulciano prevalgono nel rosso; per il rosato si può arrivare al 100% di Bombino Nero, Aglianico o Uva di Troia; Pampanuto, Chardonnay o Bombino Bianco nel bianco.
Ortanova Doc dal 1984. Caratteristico di: per intero il Comune di Orta Nova e di Ordina; parte di Ascoli Satriano, Carapelle, Foggia e Manfredonia (Foggia). Da uve di: Sangiovese (minimo 60%) e poi Uva di Troia, Montepulciano, Lambrusco Maestri e Trebbiano Toscano, da soli o insieme fino a un massimo del 40% (ma Lambrusco e Trebbiano non oltre il 10% del totale).
Rosso Barletta Doc dal 1977. Caratteristico di: in provincia di Bari a Barletta, Andria e Trani; in provincia di Foggia a San Ferdinando di Puglia e Trinitapoli. Da uve di: Uva di Troia (70%) e poi Montepulciano e Sangiovese (30%) oppure Malbech (massimo il 10%).
Rosso di Cerignola Doc dal 1974. Caratteristico di: Cerignola, Stornara e Stornarella, in alcune isole amministrative di Ascoli Satriano (Foggia). Da uve di: 55% Uva di Troia, Negro Amaro fra il 15 e il 30%, e un massimo del 15% di Sangiovese, Barbera, Montepulciano, Malbech, Trebbiano Toscano.
Tavoliere delle Puglie Doc dal 2011. Caratteristico di: Apricena, Ascoli Satriano, Bovino, Cerignola, Foggia, Lucera, Manfredonia, Ordona, Orsara di Puglia, Orta Nova, S. Paolo di Civitate, San Severo, Stornara, Stornarella, Torremaggiore e Troia in provincia di Foggia; a Barletta, San Ferdinando di Puglia e Trinitapoli nella Provincia Barletta-Andria-Trani. Da uve di: 65% Nero di Troia, che sale a 90% con la menzione del vitigno rosso.
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