Riscoprire il valore dell’attesa, Castello di Monsanto il Poggio 1999


Non sono un degustatore di primo pelo, so benissimo che un vino che ha quasi vent’anni sulle spalle, una volta versato nel bicchiere, ha bisogno di tempo per raccontarsi. Certo poi quella narrazione potrà prendere più strade: comunicarti che è arrivato definitivamente al capolinea, oppure che ha ancora frecce al suo arco, che è ancora vivo insomma, ma quando è un grande vino può addirittura farti riscoprire il valore dell’attesa, piacere che abbiamo quasi dimenticato nella frenesia del tutto subito. È successo con il Chianti Classico Riserva Docg Il Poggio 1999 Castello di Monsanto, degustato alla cieca assieme ad altri 4 “toscani” sempre della stessa annata. È partito male Il campione numero 5. Naso non di grande impatto, almeno rispetto ai quattro campioni assaggiati prima, in bocca è davvero scomposto, con un’acidità notevole, sembra procedere a tentoni nel buio. Lascio il bicchiere per riprenderlo una decina di minuti dopo; non è cambiato un granché; ne passano venti, poi trenta di minuti, qualcosa inizia a muoversi, ma nulla di eclatante. Sento però che quel vino, che sta facendo tanta fatica a esprimersi, sarà una rivelazione. Inizia a scalare la piccola classifica, da quinto, diventa quarto; i minuti passano, lo riassaggio, adesso è terzo; non demordo, l’attendo ancora e d’improvviso succede l’inaspettato, una scossa, eccolo il colpo di fulmine, un tarlo che ti divora e non riesci a pensare ad altro. A fine serata, saranno passate almeno due ore e mezzo da quando mi è stato versato nel bicchiere, è ancora in movimento, in crescita, un vino infinito, il Sangiovese in tutta la sua magnificenza. Il pensiero di quel vino non mi abbandona per giorni, ho bevuto uno dei vini più buoni di sempre.

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