
Come mi era già capitato di sottolineare qualche anno fa, il Merano Wine Festival più originale, spesso, vive negli eventi collaterali alla kermesse che si svolge all’interno del Kurhaus. In questo senso, anche l’edizione 2017 non ha deluso, soprattutto per il convegno Naturae&Purae “Quo Vadis, The Future is Natural?” svoltosi il 9 novembre presso i Giardini di Castel Trauttmansdorff. Il Convegno ideato da Angelo Carrillo, in collaborazione con Helmuth Köcher, ha visto confrontarsi in merito al tema su quale potrà essere la produzione sostenibile per il futuro della viticoltura, illustri personalità del mondo del vino come Attilio Scienza, Angiolino Maule, Luca D’Attoma, Hayo Loacker e Werner Morandell. È indubbio che i consumatori stiano riservando sempre maggiori attenzioni a scelte che vanno nella direzione bio e ambientalista; in quest’ottica, la crescita delle vendite dei vini bio nella GDO (+19,7%) è un dato emblematico, e tutti sono concordi nell’asserire che, per la viticoltura del futuro, la produzione debba essere sostenibile nella massima trasparenza per il consumatore ma le strade per raggiungere questo obiettivo sono molteplici e spesso apparentemente distanti tra loro. Si va dall’approccio tecnologico/scientifico delle ricerche di cisgenetica, alla “Natura padrona” dei vignaioli naturali che tendono a ridurre al minimo gli interventi dell’uomo sia nel vigneto che in cantina. Strade diverse ma con un unico obiettivo che è quello di lavorare per una viticoltura libera da trattamenti di sintesi, sana per l’ambiente e di riflesso anche per l’uomo.
Qualche giorno dopo la fine della 26esima edizione del Festival, Angelo Carillo, relativamente al Convegno Naturae&Purae “Quo Vadis, The Future is Natural?” da lui curato, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook delle interessantissime considerazioni che meritano di essere rilanciate, confidando nello sviluppo del tema per l’edizione 2018:
…Troppe e troppo complesse sono le dinamiche interne a questo mondo che da poco ha trovato una quadratura parziale e non priva di contrasti sul tema delle denominazioni, a partire da quella di Vigna. Cionondimeno, pure in assenza, di protagonisti, il tema scottante corre sottotraccia e nel futuro verrà certamente preso di petto. Ne ho avuto numerosi riscontri. Attendiamo tempi più maturi. Sulle posizioni espresse dal Professor Scienza e, al polo opposto, da Angiolino Maule, paladino del “Vino Naturale” forse per l’ultima volta, chissà, sullo stesso ring, e non uso a caso questa parola, ho colto, invece molte più sinergie di quanto la nuda cronaca, e le reazioni a caldo, raccontino: una scienza molto meno dogmatica e asettica di quanto voglia apparire e una prosopopea “naturalistica” molto meno vaga e aleatoria di quanto si immagini, tanto da spingermi a dire che dal 9 novembre, almeno per quel che riguarda me, comincio a parlare di una scienza del vino naturale, se con questa definizione possiamo intendere una serie di misure, “misurabili e verificabili” applicate alla viticoltura e alla vinificazione del mondo del “vini naturali” quantomeno di quelli dell’associazione “VinNatur”. A testimoniare quanto le distanze tra studi di cisgenetica e tecniche di viticoltura sostenibili siano meno siderali di quanto superficialmente si possa pensare è sufficiente ricordare gli interventi di Mario Pojer e Hayo Loacker, il primo produttore di Zeroinfinito, Piwi allo stato puro e il secondo produttore di una delle aziende biodinamiche più antiche d’Italia. Entrambi consci della portata del tema sempre più dirimente della resistenza della vite alle malattie più diffuse, da un punto di vista pratico, in primo luogo, che non può certamente scartare a priori una soluzione come quella offerta dalla cisgenetica difesa con convinzione da Attilio Scienza. Si badi bene, non si parla di tecnologie transgeniche che paiono per ora e per fortuna, accantonate, a seguito della forte e giustificata opposizione che suscitano , ma quelle di interventi sul genoma della vite con materiale genetico della vite stessa senza mostruosità di ingegneria genetica. Una strada concreta per chi opera concretamente con la finalità ultima di non avvelenare ne avvelenarsi e ritrovare il passo di una viticoltura non industriale. Eppure i concorrenti si sono già ampiamente armati e al di fuori dei rassicuranti confini europei operano nella direzione indicata da Scienza. Seguirli o non seguirli? Per ora la legislazione lo impedisce. Domani chissà? Ma a ben vedere, questo è solo uno dei problemi riguardanti il futuro del vino visto nella sua dimensione produttiva. E quella del consumo e del consumatore futuro? Ecco il convitato di pietra che, con modesto successo ho provato a presentare ai relatori nel corso del convegno. Ma il consumatore cosa vuole? A sentire il concretissimo veneto Angiolino Maule la sua parabola umana e produttiva sembra già includere la risposta e il successo sulle giovani generazioni di consumatori va preso maledettamente sul serio e analizzato. La mia idea me la sono fatta ormai da più di un anno e a spiegarla ho chiamato l’esperto di cibi fermentati Carlo Nesler cui ho chiesto di riproporre l’epifania alimentare del vino, dimensione tanto negletta quanto a mio avviso importante per la ridefinizione dell’oggetto vivo vino in futuro. Così avviene in altre lande. E ciò dovrà avvenire anche in quei paesi di più antica tradizione vitivinicola (dove conservazione e reazione sono termini che spesso si confondono e sovrappongono sia nel significante che nel significato) per un vino, e questo sarà l’argomento che proveremo a sviscerare nei prossimi mesi e sarà, forse, rubando lo slogan a Slow Food, il tema Naturae&Purae 2 che sia “buono, pulito, giusto…e sano?”
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