Dialoghi sul Collio, parte terza


Angelo Peretti, giornalista, degustatore internazionale, direttore responsabile ed editore del periodico on line Internet Gourmet: Credo che il problema – che a mio avviso esiste – nasca da una scelta di fondo, tipicamente italiana, praticata nel tempo dal comparto vinicolo friulano in maniera più o meno consapevole, ma di certo in forma costante e pervasiva, e ad ogni livello di rappresentanza della filiera: l’aver puntato sul vitigno e non sul territorio. Anche quando si parla delle eccellenze della regione, il vitigno viene sempre associato a una marca, mai ad un territorio. Parliamo infatti della Malvasia di Tizio, della Ribolla di Caio, del Friulano di Sempronio. La denominazione, la specificazione territoriale, viene sempre omessa. In questo modo il vino, anche nelle sue bottiglie migliori, non è praticamente mai percepito come rappresentazione di un’appartenenza territoriale, se non per uno sfuggevole riferimento alla sua generica provenienza friulana, senza che peraltro esista una “denominazione Friuli” citata in etichetta. Cosicché parlare di vini del Collio oggi ha (purtroppo) poco significato, perché l’associazione fra vitigno, marca e in parte regionalità oscura interamente l’area d’origine. L’Alto Adige, per parlare di una zona ora particolarmente in voga nel comparto bianchista, avrebbe potuto correre lo stesso rischio, ma da parte del comparto sudtirolese vi è una fortissima focalizzazione sull’origine altoatesina del vino – così come del resto esiste la denominazione Alto Adige, con sue precise sottozone -, prima che sul vitigno di provenienza. La differenza potrebbe anche apparire esile, ma è invece, secondo me, sostanziale: si tratta di visioni assolutamente antitetiche della comunicazione dell’appartenenza vinicola.

Laura Di Cosimo, sommelier masterclass, degustatrice internazionale, scrive per numerose testate di settore tra cui Spirito di Vino: Collio, qualcosa (non) è cambiato. Nella zona vinicola del Collio,  si avverte, a mio parere, una certa “stanchezza”  di immagine che si riflette anche nei vini, che sembrano aver perso lo slancio di fare giusta e compatta presenza su un mercato complesso e sempre (più) competitivo. Nasce allora il bisogno di ridefinire lo stile dei vini per far risaltare ancora meglio il potenziale di questa terra predisposta soprattutto ai vini bianchi. Vini profumati, strutturati e profondi, e quando grandi, anche longevi.  Basti citare, come esempi, Schiopetto e altri capaci viticoltori della zona, che hanno saputo creare un costante percorso di qualità nei loro vini. Certo, è una strada non facile ma necessaria: interpretare e credere nel territorio, senza adagiarsi su modelli di vino standard, senza carattere e forza espressiva, senza quella “storia diversa” prima da bere e poi da raccontare.

Rocco Lettieri, giornalista, degustatore internazionale, responsabile unico per il Canton Ticino e per l’Engadina delle Guide Veronelli: Il grido di allarme di Marco Felluga, “…i vini del Collio da un pò di tempo a questa parte hanno perso fascino e interesse…” ripreso da Michelangelo Tagliente ha fatto molto eco tra gli addetti ai lavori. Molti gli spunti dei colleghi che di Friuli/Collio ne sanno più di me (vedi Elisabetta Tosi e/o Paolo Ianna) e con loro concordo pienamente sulle legittime risposte, però anch’io vorrei poter dire la mia, avendo avuto modo…. di camminare la terra con il nostro notaro “Gino”, Piero Pittaro, Gigi Valle, Isi Benini, ecc. sin dagli anni ’80 per visitare Mario Schiopetto, Walter Filiputti, Rocca Bernarda e lo stesso Marco Felluga. Io credo che Marco abbia voluto solo puntualizzare che il Collio ha vissuto di grande pubblicità nei tempi indietro, e poi, crescendo, con le nuove leve di grandissimi e dinamici produttori giovani, non abbia fatto un percorso di consolidamento di qualità con iniziative atte a fare conoscere davvero le peculiarità di questo straordinario territorio in grado di dare vini di eccellenza sia bianchi che rossi. Dire oggi che nel Collio si producono anche ottimi vini rossi, suona quasi come un’eresia, conosciuto com’era 20 anni fa il Collio per la sua squisita “bontà” dei bianchi. Certamente per uno come lui che nei “bianchi” è cresciuto, dire che si è perso fascino e interesse nel Collio, va a scapito dei famosi bianchi ma credo che il monito era indirizzato a tutta la filiera, dove si dovrebbero fare molti più sforzi in ognuna delle DOC per far crescere una informazione giusta e veritiera che per anni ci ha portati a degustare gli stessi vini da ognuno dei produttori (minimo 10 tipologie sino ad arrivare a 14/16) senza avere avuto da loro segnali varietali dei diversi terroir. Sua figlia Alessandra, di suo padre Marco, dice: “Mio padre stupisce in quanto ha una freschezza mentale sbalorditiva. Nel suo lavoro è spesso più avanti degli altri. A lui invidio – si fa per dire – l’aver saputo divertirsi col lavoro e dare valore al rapporto con la gente. Lui riesce a mettere a suo agio tutti; fa sentire importante sia l’ultimo uomo della strada che il grande personaggio. Chi lo conosce sa che la sua personalità è poliedrica: tanto sa essere determinato sul lavoro, quanto sa coltivare le amicizie ed i rapporti in maniera impensabile e sorprendente”. Sentito quanto ci dice la figlia, vogliamo togliere a questo giovane ottantenne la soddisfazione di voler vedere crescere ancora di più il “suo Collio”? Qui abbiamo la storia di un territorio e il percorso di un uomo che non corrono quasi mai su binari paralleli. Divergono o convergono nel ritmo delle stagioni e dell’esistenza. Si instaura così un legame tra le aspirazioni dell’uomo e il respiro di crescita del territorio e i confini del confronto si fanno cultura. Un suggerimento per capire l’uomo Marco Felluga, nato il 28 Ottobre 1927: procuratevi il volume “Una Terra, il Collio/un uomo, Marco Felluga” della Biblioteca GustoSì, curato da Walter Filiputti e avrete tante altre cose a cui pensare quando pronuncerete la parola “Collio”.

Roberto Felluga, vignaiolo proprietario delle cantine Marco Felluga e Russiz Superiore : Purtroppo al 50° del Collio non abbiamo avuto modo di scambiarci alcune opinioni.
Mio padre è stato presidente del Consorzio per sei anni ed assieme ai consiglieri, durante il suo mandato, ha progettato diverse cose, tra le quali l’allargamento dei vitigni nella composizione del Collio Bianco, la campagna di comunicazione con Oliviero Toscani, un laboratorio di analisi a supporto delle piccole aziende, un club V.I.P. del Collio con un evento sul territorio e tante altre cose. Alcune sono state realizzate, altre no.
Nonostante i suoi 87 anni, Marco è ancora una persona con molte energie ed idee e questo lo ha sempre portato ad essere dinamico e decisionista. Il suo intervento di sabato, me lo ha spiegato, era rivolto in primis alla classe politica regionale per sottolineare che la passata amministrazione ha usato in modo pessimo i fondi ricevuti per il Tocai ed ha sollecitare sia la nuova amministrazione, rappresentata nell’occasione dalle massime autorità, la Presidente Serracchiani ed il Vice-presidente Bolzonello (Assessore all’Agricoltura), sia i produttori a riprendere un percorso costruttivo volto a rafforzare l’immagine del Collio. Secondo me le premesse ci sono: questa nuova Giunta Regionale ha già dato segnali di svolta nei rapporti con il mondo vitivinicolo e gli stessi produttori del Collio, su proposta del presidente Princic nell’ultima assemblea di aprile, hanno deciso di incrementare il supporto economico a favore del Consorzio stesso. Tra mio padre e Robert Princic ci sono state delle presidenze che hanno dovuto affrontare più problemi interni anzichè utilizzare energie per la comunicazione verso i mercati internazionali, anche se alcune iniziative dall’Asia agli Stati Uniti sono state realizzate. I problemi interni erano non di poco conto, quali un possibile allargamento della DOC Collio, la DOC Friuli, la denominazione Piccolo Collio… Nel frattempo il sistema paese Italia è arrivato al limite della sua tenuta con i contraccolpi economici che tutti conosciamo. Ritornando alla tua domanda, ti rispondo che la nostra denominazione, per quanto sopra descritto, negli anni scorsi non ha sviluppato certi programmi di comunicazione che ora ha in mente di attuare, anche a causa della drastica riduzione dei finanziamenti regionali decisi dall’ex Assessore Violino. Alcuni sono già in essere, altri sono pianificati; tutti volti ad una maggior consolidamento del marchio Collio. Collio, che rimane comunque in Friuli la DOC più importante e nel nostro paese, assieme all’ Alto Adige la denominazione di riferimento per il vino bianco italiano. Certo è che la crisi economica ha portato ad una selezione, per me positiva, ed ha premiato nel Collio le aziende che oltre che sulla qualità, hanno investito sulla rete commerciale, sulle PR, sui rapporti con i propri partner e sul marketing in generale. In questa congiuntura economica ci sono altre regioni molto rappresentative dell’enologia italiana che in diversi momenti hanno segnato delle battute d’arresto. Per quanto riguarda la Marco Felluga e la Russiz Superiore, io “firmerei” perché il mercato rispondesse in futuro come lo sta facendo ora.

Rodolfo Rizzi, presidente Assoenologi FVG e Direttore Generale Cantina Produttori di Cormons: Le affermazioni, del presidente Marco Felluga, riferite alla perdita d’interesse da parte del consumatore e dei media, verso la storica denominazione del Collio, sono sacrosante. Purtroppo il Collio sta pagando, più di altri, la crisi che attanaglia l’enologia friulana a causa sia dall’attuale congettura economica sia dalla mancanza di programmazione dell’intero “Vigneto Friuli”. Dobbiamo però rilevare che nell’attuale panorama enologico, la Regione Friuli Venezia Giulia, dei circa 18.000 ettari coltivati a vigneti quasi 5.000 sono di Pinot Grigio e 3.400 occupati dal Prosecco. Dati questi che, se da un lato sovrastano la piccola e rinomata DOC del Collio (1.400 ettari), dall’altro potrebbero garantire, in questo estremo Nord-Est, un’enologia ricercata e di estrema qualità. Per fare questo però bisogna avere un’identità enologica, quella che ti permette di farti riconoscere non solo dai tanti estimatori del vino ma anche dal grande pubblico. Il Collio però non ha saputo cavalcare quanto, un manipolo di lungimiranti vignaioli trent’anni prima, aveva portato l’intera zona quale indiscussa protagonista dei vini bianchi. Negli anni a seguire sono state sposate anche altre filosofie produttive, creando non pochi scossoni e disorientamenti nella memoria gustativa del consumatore. Tutto questo, se sommato a un’eccessiva frammentazione varietale, ha contribuito a recare notevoli incertezze nella comunicazione dell’intera zona. Ecco allora giunto il momento di salvare questa preziosa perla enologica e per questo dobbiamo fare un passo avanti, riconoscendo che il Collio è parte integrante dell’enologia regionale. Si deve dunque interrompere quell’isolamento e chiusura enologica che ora non ci permette di adottare nuovi e più efficaci sistemi collettivi di comunicazione. Da oggi niente dovrebbe essere più come prima perché, nei prossimi anni, l’enologia friulana si dovrà ricompattare e rivedere, in questo probabile rilancio, un nuovo ruolo dei Consorzi di Tutela (obbligatori e unificati) che adesso, salvo alcuni casi, sono inesorabilmente superati.

Massimo Sacco, Chef Sommelier al Fairmont Hotel Montecarlo, degustatore internazionale, fondatore del blog Glocal Vini & Terroir: i vini del Collio sono e saranno sempre dei grandi vini, apprezzati in Italia ed all’estero. Circa venti anni fa , quando lavoravo in Inghilterra, i vini bianchi del Collio erano un must: ogni ristorante di un certo livello aveva i sauvignon blanc, gli chardonnay, il tocai e via dicendo. Ho vissuto la trasformazione da Tocai a Friulano e nell’ambito appeal questo vitigno ha perso qualcosa e non è stato fatto abbastanza chiarezza sulle origine del vecchio nome del vitigno e sul perché del nuovo nome. Questo è uno dei punti dove i nostri vini bianchi hanno iniziato a perdere della credibilità internazionale. Non c’è stata battaglia, o meglio non abbastanza, per promuovere il nuovo nome del vitigno. Poi c’è stata la crescita incredibile degli Sauvignon Blanc e dello Chardonnay del New World, Nuova Zelanda e California in primis, che si sono presentati al grande pubblico internazionale con prodotti di grande piacevolezza ed allo stesso tempo legati a terroir particolari come possono essere Marlbourough o Sonoma. Poi un marketing molto aggressivo da parte dei paesi del nuovo mondo con prezzi che sono molto competitivi. Noi a Montecarlo ospitiamo una rassegna annuale sui vini dell’Argentina e posso dire che i vari buyers, sommeliers sono tentati da questa nouvelle vague di vini e spesso inseriscono alcune tipologie sulle proprie carte dei vini, aumentando la notorietà di quest’ultimi. Ecco il perché dei vini del Collio e della loro perdita di appeal in ambito internazionale. Cosa bisogna fare? Essere più coesi, presentarsi in chiave moderna in mercati dove possono avere una vetrina molto importante (i clienti consumatori sono globali, viaggiano e spesso ordinano al ristorante vini che hanno bevuto a Londra come a Montecarlo oppure Berlino), “istruire” i vari sommeliers europei e non solo sull’importanza di questa regione e alla diversità dei vitigni internazionali che questa terra regala; insistere su vitigni autoctoni, che sono straordinari. Ecco, secondo me, alcune chiavi per rilanciare il sistema Collio. Bisogna insistere sulle varie associazioni sommeliers mondiali in modo da presentare i vini a coloro che poi potranno consigliare e venderli al cliente finale nel ristorante. Inutile piangersi addosso ma occorre rimboccarsi le maniche ed andare avanti con progetti ben strutturati.

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