Vignaioli e vini della Val Venosta, terra benedetta


Della Val Venosta vinicola se ne parla troppo poco e non me ne capacito. D’accordo, le quantità prodotte in termini di bottiglie non sono tali da fare massa critica, ed è anche vero che qui in problema non è vendere perché, grazie anche al turismo, le cantine sono vuote. Invece c’è la necessità di far conoscere la Valle anche come terra da vino; infatti, nella vulgata comune, viene identificata dai più per la produzione di mele. Questo è l’obiettivo che si sono dati Magdalene Schuster, Heinrich Pohl, Martin Pohl, Martin Aurich, Franz Pratzner, il barone Sigmund von Kripp, Markus Fliri; un gruppo di vignaioli autentici e originali, al netto della retorica che spesso accompagna le biografie del vino. Gente lontana anni luce dal marketing esasperato, in grado di mantenere una certa arcaicità, una sorta di schiettezza montanara che poi si ritrova nei loro vini; mai banali, sia nei più “facili” come la Schiava e lo Zweigelt, sia nell’eccellenza del Pinot Nero e  del Riesling.

 Un po’ di storia

Risalgono all’alto medioevo e precisamente all’VIII secolo d.C. le prime notizie sulla viticoltura della valle. Sono i monaci ad essere coinvolti nella produzione di vino e sono sempre loro a lasciarne traccia scritta come da tradizione. Facendo un salto temporale di secoli arriviamo agli inizi del 900 per scoprire che, grazie ad uno studio dell’Istituto Agrario di San Michele, gli ettari vitati sono 200; la sola Vezzano, ad esempio, conta ben 21 ettari. Le varietà impiantate sono Schiava, Pinot Grigio, Heunischer e Fraueler. Al termine della seconda guerra Mondiale la superficie si ridimensione drasticamente, passando a 55 ettari, per lasciare spazio alla coltivazione delle mele, motivo per cui la Val Venosta è conosciuta da tutti. La rinascita della viticoltura avviene negli anni ‘70 del secolo scorso grazie a due giovani vignaioli Hubert Pohl e Oswald Schuster, che non solo rivalorizzano le colture, ma iniziano anche a produrre vino di qualità. Da quel momento cresce l’interesse per la zona e cresce anche la superficie vitata che passa a 73,6 ettari. Oggi le cose sono molto mutate rispetto al passato. Sui 42 ettari di uva a bacca rossa prevale il Pinot Nero, seguito da Schiava e Zweigelt, mentre per le varietà a bacca bianca è il Riesling a farla da padrone, seguito dal Pinot Bianco.I vigneti della Val Venosta sono situati tra Parcines e Malles su pendii esposti verso sud, in parte terrazzati.Il clima è molto asciutto e la piovosità media si assesta attorno ai 450 mm/anno. Clima, terreno e altitudine (600-900 m s.l.m.) fanno si che le uve della Val Venosta abbiano una maturazione piuttosto lunga, condizione ottimale per il Pinot Nero e il Riesling.

 Il Pinot Nero della Val Venosta

I primi impianti di Pinot Nero in Alto Adige a Maia Alta (Merano) risalgono alla fine del XIX secolo. Ci si rese subito conto che era una zona vocata per questa varietà. In Val Venosta invece i primi impianti sono di circa cinquant’ anni fa (clone Mariafeld, allevato su pergola). Dal 1973 si cambia e si passa al Guyot, affinando il Pinot Nero in botti di legno (quercia, castagno, larice) da 500 litri. La superfice è aumentata negli anni e adesso occupa 17,41 ettari, quasi il 24% della superfice vitata della Valle. L’Associazione produttori della Val Venosta ha voluto farci conoscere il Pinot Nero attraverso due sessioni di degustazione. Nella prima 6 vini dell’annata in commercio (2012) con due fuori quota, un 2011 e un 2009. Nella seconda invece l’annata più giovane era la 2011, arrivando fino alla 2005; giusto per saggiare l’evoluzione nel tempo. Questi i vini della prima sessione:

1.Weingut Falkenstein – Naturno 2012

2.Weingut & Hofbrennerei Unterortl – Juval 2012

3.Himmelreichhof – Castelbello-Ciardes 2012

4.Rebhof – Castelbello-Ciardes 2012

5.Marinushof – Castelbello-Ciardes 2012

6.Befehlhof – Vezzano 2012

7.Schlossweingut Stachelburg – Parcines 2011

8.Köfelgut – Castelbello-Ciardes 2009

Per l’annata 2012 stupisce il livello generale, davvero notevole. Solo delicate sfumature differenziano le bottiglie, tant’è vero che non saprei quale scegliere. Uso sapiente del legno, per una qualità complessiva elevatissima. In sostanza, c’è un filo conduttore che delinea in maniera netta la direzione presa dai produttori.

Per la seconda sessione:

1.Himmelreichhof – Castelbello-Ciardes 2011

2.Rebhof – Castelbello-Ciardes 2011

3.Befehlhof – Vezzano 2010

4.Schlossweingut Stachlburg – Parcines 2009

5.Weingut & Hofbrennerei Unterortl – Juval 2009

6.Marinushof – Castelbello-Ciardes 2007

7.Weingut Falkenstein – Naturno 2005

8.Köfelgut – Castelbello-Ciardes 2005

In questo caso le differenze sono più evidenti rispetto alla cifra stilistica che accomuna i vini nell’annata 2012. Stiamo parlando comunque di ottimi vini con un Marinushof – Castelbello-Ciardes 2007 in evidenza eWeingut Falkenstein Naturno 2005 davvero in splendida forma. Va anche detto che il Pinot Nero Weingut & Hofbrennerei Unterortl – Juval 2009 aveva il tappo a vite e quindi ulteriore conferma della lezione imparata con il Merlot Klausner 2006 di Armin Cobler: il vino evolve benissimo anche senza sughero. In conclusione, per l’eleganza e la raffinatezza con cui si è presentata nel bicchiere, sarà davvero interessante riassaggiare l’annata 2012 tra qualche anno  e se tanto mi dà tanto…

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