Il brutto, il buono e il cattivo non c’è


Mi perdonerà il maestro Sergio Leone se uso a sproposito il titolo di uno dei suoi capolavori, ma l’occasione è troppo ghiotta parlando di un vino chiamato “Il brutto” che, guarda caso, è proprio buono. Si tratta del Prosecco Colfòndo di Montelvini che quei ragazzacci di Studio Cru mi hanno fatto conoscere purché lo assaggiassi secondo le due scuole di pensiero previste dalla vulgata del Colfòndo: la prima consiste nel lasciare la bottiglia in piedi per almeno due giorni in modo tale che i lieviti di fermentazione si depositino sul fondo. Poi si stappa senza agitare e si versa con delicatezza il contenuto nella caraffa, avremo così “illimpidito” il vino rendendolo privo di fondi e torbidità. La seconda possibilità invece consiste nel prendere la bottiglia e agitarla, lasciando che tutti i lieviti entrino in circolo. I risultati? Come prima cosa diciamo subito che il Brutto è un Prosecco Superiore Asolo Docg; diffidiamo quindi delle schifezze senza arte né parte e di dubbia origine che magari ci vengono propinate a 3 euro allo scaffale; diciamo anche che Asolo è, indubbiamente, terra d’elezione per il Colfòndo, dove raggiunge, per la tipologia, punte di finezza che non sempre trovo a Valdobbiadene, ma sono gusti personali ovviamente. L’assaggio de “Il Brutto” in versione illimpidita è sicuramente più rassicurante per la vista del consumatore poco smaliziato. Al naso sono meno netti i sentori tipici di mela, ed è arricchito da belle note agrumate con un’acidità davvero piacevole che solletica il palato. Preferisco però la versione torbida che, grazie ai lieviti in sospensione, conferisce al vino maggior carattere e schiettezza, con profumi sicuramente più intensi, dove la classica mela c’è ma è leggermente sur matura ed il sorso è una lama che invoglia a bere e ribere, con una lunghezza in bocca davvero sorprendente. In definitiva un vino che tra un whisky e l’altro potrebbe piacere anche a Joe “il Biondo” Clint Eastwood.

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