Terrano, tutto è bene quel che finisce bene


Dopo l’incontro tra la delegazione italiana a quella slovena svoltosi a Trieste l’8 gennaio 2016, la vicenda Terrano e la conseguente diatriba sull’utilizzo della denominazione tra le due nazioni confinanti sembra volgere al bello. Irene Graziotto approfondisce la questione per la Stanza del vino.

L’Italia può tirare un respiro di sollievo. L’esito della vicenda “Terrano” volge infatti per il meglio, come emerge dalla riunione tecnica di qualche giorno dove si è deciso di procedere con misure immediate per la tutela transfrontaliera della denominazione italo-slovena. Al meeting hanno preso parte tutti i soggetti coinvolti: Cristiano Shaurli, assessore alle Risorse agricole del Friuli Venezia Giulia, e poi rappresentanti del Mipaaf e del rispettivo Ministero dell’Agricoltura sloveno, la console generale slovena a Trieste Ingrid Sergas, il sottosegretario Tanja Strnisa che solo qualche mese fa aveva innescato la vicenda e, ovviamente, produttori di Terrano del Carso italiano come sloveno. Strnisa conferma il giudizio positivo di Shaurli commentando: “Già a novembre i ministri Martina e Zidan si sono messi d’accordo affinché la tutela del Terrano venisse ampliata a tutta la zona del Carso, poiché si tratta di un vino che si produce sull’altipiano sia nella sua parte slovena che in quella italiana. In Slovenia il nome del vitigno, dal quale si produce il Terrano, è Refosk, mentre in Italia il vitigno porta il nome Terrano. Questa differenza, tuttavia, non rappresenta un problema, visto che, nuovamente, è stata ribadita la volontà della parte italiana di aggiornare la denominazione per rendere più f acile e univoca la tutela transfrontaliera”. Sia in Italia che in Slovenia si procederà ad attuare le necessarie procedure a livello nazionale. Ne seguirà, da parte dei produttori, una richiesta comune per la tutela transfrontaliera del Terrano. Anche laddove la Commissione Europea dovesse apportare delle integrazioni alla regolamentazione vigente, l’iter si dovrebbe concludere già entro fine 2016.  Un esito per nulla scontato che rischiava invece di far perdere all’Italia, e nella fattispecie al Friuli un’ennesima denominazione, dopo la batosta del Tokaj. I toni usati dal segretario di stato sloveno Tanja Strnisa durante una riunione a Trieste erano stati alquanto duri nel rivendicare la registrazione della Doc da parte del proprio governo e quindi l’illegittimità per i produttori italiani di usare il termine “Terrano”. Il mistero italiano, dal canto suo, avrebbe provveduto a inviare una lettera ai produttori del Carso in cui si affermava che l’Italia, in presenza della Dop Teran “non può legittimamente prevedere che il vitigno Terrano possa essere utilizzato per qualificare taluni vini Dop o Igp” invitandoli ad “attivare, con la dovuta sollecitudine, la procedura intesa ad applicare la modifica ai disciplinari di produzione”. A prescindere dall’esito felice della cosa, vanno fatte alcune osservazioni. Innanzitutto, come è possibile che la Slovenia abbia registrato il marchio dodici anni fa, nel 2004, e l’Italia non ne sapesse niente? E poi, la lettera che si vocifera dovrebbe essere stata inviata ai produttori denota una volta ancora la mancanza di volontà delle autorità italiane nel riconoscere e tutelare in maniera forte le ricchezze agro alimentari del Paese. Forse ci serve qualche ripetizione dalla Francia. Soprattutto considerando che il settore agroalimentare è fra i pochi in crescita in Italia e che, considerando anche l’indotto generato, ammonta al 13,4% del PIL nazionale, per un valore complessivo di 208 miliardi di euro secondo i dati Istat. Quindi magari vediamo di tutelarlo a dovere.

La foto della riunione è tratta dal sito del Ministero dell’Agricoltura della Slovenia.


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