I dieci vini del 2017, anche se l’anno non è ancora finito


Pare che l’undici di novembre 2017 venga acceso l’albero di Natale più alto della Sicilia, ma francamente è già dalla fine di ottobre che nei centri commerciali ha iniziato a fare capolino, se pur timidamente, la mercanzia natalizia. Ormai il Natale arriva sempre prima e di conseguenza anche la fine dell’anno con le sue classifiche e i suoi resoconti; mi adeguo quindi a questa corsa all’anticipo e propongo i 10 vini che ho amato di più nel 2017. Perché proprio 10? Credo la spiegazione abbia qualcosa a che fare con quel fatto che accade secoli orsono sul Monte Sinai, da lì in poi, ogni classifica, elenco o play list che si rispetti, è fatta seguendo quella regola aurea.

 Simbiotico Villa Crespia Franciacorta Brut

Pur conoscendo bene il progetto “Simbiotico” di Michela Muratori e Francesco Iacono, ho cercato di accostarmi a questo spumante senza stare a pensarci troppo su, anzi quasi dimenticandomene; un giorno ho aperto la bottiglia scegliendo a caso tra gli altri Franciacorta di Michela ed è stata una grande giornata. Grazie a questo vino mi sono ricordato perché sette anni fa iniziai con il blog. C’erano quell’ambizione e malcelata speranza di raccontare vini diversi, cercando di evitare, come la peste, l’enofighettismo ma anche la democristianità di certe guide che tendono a rischiare poco premiando sempre gli stessi vini. Un Franciacorta Brut (100% Chardonnay) senza solfiti aggiunti, solo acciaio, ottenuto da uve che derivano da un unico vigneto, la fermentazione è spontanea e per la sboccatura devono passare almeno 30 mesi dalla vendemmia. Spesso altri vini della stessa tipologia che ho bevuto, tendevano a virare verso note ossidative, condizionando in toto l’assaggio, nel Simbiotico nulla di ciò succede, la parola d’ordine qui è raffinatezza dal primo all’ultimo sorso.

 Kom’è 2016 – Cote di Franze

La Calabria è una terra che m’ha stregato per molte ragioni, naturalmente cibo e vino sono parte integrante dell’incantesimo. Il potenziale dei vini Calabresi è enorme e la mia conoscenza delle zone vitivinicole purtroppo (e per fortuna) è ancora limitata: Cirò ai piedi della Sila Greca, con i vigneti collinari e la Sila cosentina e del Pollino con i vigneti pedemontani. Proprio a Cirò, per la precisione nella Piana di Franze, ho conosciuto Vincenzo Scilanga che, con suo fratello Francesco ha dato vita alla cantina Cote di Franze. Il nome dell’azienda deriva dal luogo dove ha sede la cantina, la Piana di Franze per l’appunto, e da “Cota” che in dialetto cirotano indica un appezzamento pari a un ettaro di vigneto. Il termine nasce in seguito alla Riforma agraria, anche a simboleggiare la precisa volontà, da parte dei contadini, di rivendicare orgogliosamente la proprietà della terra. Se pur strepitoso il Cirò Rosso Classico Superiore Riserva 2012, ho perso la testa per il loro Kom’è da uve Greco bianco in purezza e macerazione di 12 ore sulle bucce.

 Kikè 2016 – Cantine Fina

Lasciando Marsala qualche estate fa sono stato colto dal “Mal di Sicilia” e non mi sono più ripreso. Qui, nel 2005, in contrada Bausa, dopo aver lavorato per anni a fianco del leggendario Giacomo Tachis, Bruno Fina, compra le terre, impianta i vigneti e realizza il suo sogno, le Cantine Fina. Bruno non si accontenta degli autoctoni e in un piccolo lembo di terra, nel versante nord del monte Erice a 550 m sul mare, scommette sul Traminer aromatico, vitigno originario dell’Alto Adige. I risultati sono sorprendenti ne esce questa meraviglia di delicatezza e intensità che è il Kikè 2016 (90% Traminer aromatico e 10% Sauvignon Blanc), il cui nome deriva dal vezzeggiativo con cui è chiamata Federica, figlia di Bruno, che assieme ai fratelli Marco e Sergio danno una mano nella conduzione di questa splendente cantina marsalese.

 Manca del Rosso 2016 – Masseria Perugini

Vale il discorso fatto per Cote di Franze, ecco un’altra perla della Calabria, siamo tra il Pollino e la Sila, per la precisone a San Marco Argentano.  Daniela De Marco, Giampiero Ventura e Pasquale Perugini, oltre a gestire quel luogo d’incanto che è la Masseria Perugini, fanno anche vino, e che vino. La delicatezza di questo rosato da Magliocco in purezza (forse un filare di Greco nero) e sorprendente, così come la leggerezza, intesa proprio come eliminazione del peso delle vicende umane e la bottiglia finisce in un lampo.

Rebula Ivanka 2015 – Uou Marinko Pintar

Il Consorzio UOU, dove UOU in sloveno significa bue, è stato costituito grazie alla sensibilità di alcuni vignaioli, tra cui Marinko Pintar, con l’obiettivo di salvare vigneti in stato di abbandono. La Rebula (Ribolla) Ivanka arriva dalla frazione di Solkan, siamo nel comune di Nova Gorica. Che la BRDA (Collio sloveno), assieme al Collio goriziano siano in paradiso terrestre è cosa risaputa, ma non tutti i macerati che vengono da lì hanno questa personalità e intensità. Sarà il fascino dell’abbandono recuperato e la malia che ne deriva, ma in questo bicchiere ci sono le radici e le tradizioni di una terra da prima martoriata e poi rinata a suggestioni che arrivano dritte al cuore.

Cannonau di Sardegna Cantina Orgosa Riserva 2014

Giuseppe Musina, partito da Orgosolo, è stato navigante fra l’Europa e le Americhe per ritornare al paese d’origine a fare Cannonau piantando un vigneto nel terreno ereditato dal padre a Lucuriò, di fronte al monte Locoe, dove un tempo sorgeva un paese del quale non è rimasta traccia.  La sua cantina è un locale attrezzato con botti e recipienti di vinificazione, dove l’energia elettrica è fornita da un gruppo elettrogeno che alimenta le pompe e la pigiadiraspatrice. Niente barrique e anche con il rovere non si scherza, solo un passaggio non superiore ai tre mesi, si vendemmia in autunno e s’imbottiglia in aprile. Giuseppe Musina non ha mai usato l’anidride solforosa, è convinto che l’alcol sia uno dei migliori conservanti, almeno per piccole quantità e il suo vino fa 15,5 gradi. Cannonau figlio della Barbagia, nel bicchiere la Sardegna più aspra. Un vino che ti si tatua nell’animo, sorso dopo sorso, e non lo dimentichi più.

Arnione Bolgheri Doc Superiore 2013 – Campo alla Sughera

Si può bere un grande Bolgheri Doc Superiore senza svenarsi? La risposta è Arnione Bolgheri Doc Superiore 2013 di Campo alla Sughera, cantina di proprietà della famiglia d’industriali tedeschi Knauf. Da uve Cabernet Sauvignon (40%), Cabernet Franc (20%), Merlot (20%), e Petit Verdot (20%), un vino di grande stoffa e, naturalmente, dalle notevoli capacità evolutive, come è giusto che sia per un vino di rango.

Fieramonte  Allegrini Amarone Classico Riserva 2011

La rinascita è questione assai profonda e spesso complessa, porta con sé la consapevolezza e tutte le esperienze fatte dopo la nascita, può essere quindi momento di sublime creatività. In sintesi questo è l’Amarone Classico Riserva Fieramonte 2011. L’ultima annata in commercio era del 1985, oggi ritorna con una produzione limitata di circa 5mila bottiglie. L’ Amarone Classico Riserva D.O.C.G. Fieramonte di Allegrini, vino prodotto con uve Corvina (45%), Corvinone (45%), Rondinella (5%) e Oseleta (5%) provenienti dall’omonimo vigneto a Mazzurega di Fumane di Valpolicella (VR).  Il vigneto si trova a circa 400 metri d’altezza, sulla collina che guarda Villa Della Torre. Un grande ritorno, un Amarone di cui si parlerà moltissimo nei prossimi anni.

Terrano Hodì 2007 Cantina Parovel

Non credo esista un vitigno che si possa definire più autoctono di altri, però una cosa è certa, nel Terrano la bora la senti tutta, è in quell’acidità sferzante che è tipica del vino carsolino.  Il Terrano (Teran), con il suo carattere così deciso, e per nulla facile, nasce come vino d’annata compagno di bevute e mangiate nelle Osmize. Con il passare degli anni, grazie alla lungimiranza e al talento di alcuni produttori del Carso, è diventato uno straordinario vino da invecchiamento. Con il tempo smussa gli angoli dell’acidità e diventa profondo e romantico come nel caso dell’Hodì 2007 di Parovel, il cui nome deriva dal termine sloveno “On hodi” che significa “lui cammina” e appellativo non fu mai più appropriato.

Castello di Monsanto Il Poggio 1999

Un vino che ha quasi vent’anni sulle spalle, una volta versato nel bicchiere, ha bisogno di tempo per raccontarsi. Certo poi quella narrazione potrà prendere più strade: comunicarti che è arrivato definitivamente al capolinea, oppure che ha ancora frecce al suo arco, che è ancora vivo insomma, ma quando è un grande vino, può addirittura farti riscoprire il valore dell’attesa, piacere che abbiamo quasi dimenticato nella frenesia del tutto subito. È successo con il Chianti Classico Riserva Docg Il Poggio 1999 Castello di Monsanto. Dopo versato nel bicchiere si è espresso con grande lentezza, l’ho atteso con pazienza fino a che d’improvviso è successo l’inaspettato, una scossa, il colpo di fulmine. Passate più di due ore da quando era stato versato nel bicchiere, era ancora in movimento, in crescita, un vino infinito, il Sangiovese in tutta la sua magnificenza. Il pensiero di quel vino non mi ha abbandonato per giorni, avevo bevuto uno dei vini più buoni di sempre.

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