Dici Liguria di Ponente e vengono subito in mente luoghi dall’aura favolosa: Bordighera, Spotorno, Sanremo; la Costa Azzurra e Montecarlo a un tiro di schioppo. Posti che da sempre significato bella vita e dimora per il Jet-set, ma a una manciata di chilometri, nell’entroterra, ecco il rovescio della medaglia. Scriveva il “sanremese” Italo Calvino: “Dietro la Liguria dei cartelloni pubblicitari, dietro la Riviera dei grandi alberghi, delle case da gioco, del turismo internazionale, si estende, dimenticata e sconosciuta, la Liguria dei contadini”.

Questa cosa qui ti entra dentro subito, appena arrivi in Regione Marixe e incontri la giovane vignaiola Giulia dell’Erba, oppure ti fermi a Terzorio da Franco e Alice Lombardi o da quel vulcano di Marco Foresti a Dolceacqua, per poi magari rifocillarti nell’Azienda Agricola Bio Vio a Bastia di Albenga, di proprietà della famiglia Vio. Aimone Giobatta, un riferimento per chi fa vino in Liguria, lo incontrerai di sicuro, anche se adesso preferisce stare dietro le quinte con sua moglie Chiara, lasciando la ribalta alle sue figlie Caterina, Carolina e Camilla. Pare che in casa Vio ci sia una certa predilezione per i nomi che iniziano con la lettera c, resta il fatto che il suo Pigato “Bon in da Bon”, da almeno un decennio, è uno dei più grandi bianchi italiani.

Esiste e resiste incontaminata, una Liguria di Ponente agreste e selvaggia, con una incredibile comunanza di paesaggi con alcune zone del sud d’Italia, in particolare la Presila cosentina. La ruralità dell’entroterra Ligure ponentino porta con sé il fascino arcaico e intatto dei paesaggi e degli agricoltori che li abitano, ma non è privo di criticità, soprattutto per quanto riguarda la reale comprensione del proprio potenziale comunicativo necessario per adattarsi alla postmodernità. Tuttavia, la seduzione risiede proprio qui, scoprire che ci sono terre di vino in Italia ancora poco conosciute perché poco comunicate e pertanto quasi inesplorate, gioia assoluta per chi ama il nettare di Bacco.

Dal 2015, un gruppo ben nutrito di produttori, tramite un Contratto di Rete denominato “Vite in Riviera”, sta lavorando con passione alla divulgazione, promozione e valorizzazione dei vini e degli oli della Riviera di Ponente. La produzione complessiva annua dei soci di Vite in Riviera è di circa 1.300.000 bottiglie e gli ettari vitati totali sono 150,50 (dato di luglio 2022); tra le 25 aziende vi è una Cooperativa Agricola che annovera 200 conferitori. Le aziende coinvolte, direttamente ed indirettamente, nella rete sono quindi 225 e generano complessivamente un volume d’affari pari a 10 milioni di euro annui.

I vini
Partiamo subito col dire che nella Liguria di Ponente esiste un’uva a bacca rossa, la grenaccia, in grado di dare eccellenti vini che con una sola parola potremmo definire contemporanei, dal potenziale enorme in grado di incontrare gli attuali gusti del consumatore. Vini gastronomici di estrema bevibilità e mai banali. Senza dimenticare che la grenaccia è uva adattissima per fare vini rosa e, dedicandoci tempo e passione, la Liguria di Ponente potrebbe diventare una nuova enclave per la tipologia, andandosi ad unire ad altre zone italiane vocate.

Il Vermentino a Ponente trova sicuramente la sua isola felice nell’imperiese e nel savonese, non lontano dal mare, meno espressivo verso Albenga. Un vino un po’ croce e delizia, nel senso che ha insito in sé questa necessità di confronto con la Sardegna e con i vicini Colli di Luni, cosa che il Pigato non ha perché indigeno vero.
Il Pigato, al contrario del Vermentino, si esprime a livelli altissimi proprio ad Albenga e, tra l’altro, è un vino che si può tranquillamente dimenticare per qualche anno in cantina, ottenendo risultati davvero sorprendenti.

E poi c’è il Rossese di Dolceacqua, altro vino dal potenziale enorme e che meriterebbe maggiore attenzione e divulgazione. Anche in questo caso grande piacevolezza di beva e freschezza, che trova nel cru Luvaira la sua massima espressione, una sorta di giardino dell’Eden.
Non vanno dimenticati l’Ormeasco di Pornassio e l’Ormeasco Sciac-Trà, il Moscatello di Taggia per i quali sospendo il giudizio perché è necessario un maggior approfondimento.

Un’ultima considerazione riguarda l’uso del legno. Sicuramente con il passaggio in legno, e questo è valso per quasi tutti gli assaggi fatti, si perde in qualità complessiva e tipicità, i vini di Ponente per essere grandi non hanno bisogno di legno, e questo non per dare ragione ai modaioli che adeso vedono nella barrique il male assoluto, ma proprio perché per i vini del Ponente ligure il legno non serve, cosa che in altri territori, invece, può portare a risultati sicuramente più apprezzabili.

Da un vigneto situato in un dirupo scosceso si vede il mare, Il vento sibila e ti scava la faccia, lo sguardo si posa sui fianchi della collina che bene ricordano l’entroterra selvaggio, a tratti aspro di Ponete, schivo come il carattere dei liguri, ma dal cuore generoso, al di là di ogni luogo comune, come il loro vino, come il loro olio, tesori custoditi nel ventre della mezzaluna d’Italia.
Agostino Sommariva presenta l’oleificio Sommariva di Albenga, aderente al Contratto di Rete “Vite in Riviera”
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