Vinicola Savese, il tempo dei ricordi


Il vino rosso era talmente denso che “sporcava” in maniera indelebile il contenitore di plastica. Giarla, così si chiamava in dialetto quell’insieme di polimeri che tristemente, in un sussulto di modernità, aveva occupato il posto dei più romantici recipienti in terracotta con l’emblema del gallo. Il miere era un vino duro, forte, destinato a tagliare i vini del nord, eppure era immancabile compagno di tutti i pranzi e cene, frugali o abbondanti che fossero e d’estate, a fine pasto, si maritava meravigliosamente con una Percoca. Poi, giù nella grotta di tufo che fungeva da cantina, c’erano i Capasoni che si usavano per le olive da tavola ma anche per il vino, ed era semplicemente retaggio antico di una civiltà contadina, non penso si sapesse del Caucaso. Questa era la Puglia della mia infanzia. Dopo aver fatto un viaggio interminabile di 1000 km, appariva Massafra, la “Tebaide d’Italia” e mi ritrovavo, come per incanto, in un mondo arcaico e la terra era aspra per davvero. Così ne parlava Pasolini: “Al di là del ponte si trova il centro della città, una piazza affollata, verso sera, come in un giorno di festa. È una calca di uomini vestiti di nero e ragazzi disegnati col diamante e il carbone. Attorno a questa piazza si aggrovigliano, come visceri, i vicoli e le stradine scoscese, attraverso cui si regrediscono fino nel cuore del tempo. Il puro medioevo, intorno. Ti spingi giù verso il basso e arrivi alle mura di un forte, svevo o normanno, puntato come uno sperone verso là dove l’abisso di Massafra si apre sulla pianura sconfinata”. Nel corso degli anni, molte cose sono cambiate, la Puglia è stata oggetto di una trasformazione inesorabile tanto da arrivare a parlare di “Laboratorio Puglia” o di “Primavera pugliese”. Grazie anche al turismo e all’enogastronomia naturalmente ma anche e soprattutto a persone piene di belle idee. Oggi non saprei dire con precisione a che punto siamo di quel cammino di progresso o se peggio c’è stata una battuta d’arresto; certo è che il vino pugliese (almeno lui), non ha tradito le attese: da vino da taglio venduto esclusivamente sfuso, è divenuto liquido pregiato, di rara finezza, portando la regione al livello di altri territori italiani più rinomati per blasone. Ne ho avuto conferma anche in questi mesi assaggiando tanta Puglia, dalla Daunia, alla Valle d’Itria e naturalmente al Salento, ma rimanendo folgorato da un trittico di vini della Messapia, i vini della famiglia Pichierri (Vinicola Savese), eccoli!

Gocce di Giada Rosato del salento I.G.P. 2012

Da uve Primitivo. Matura in acciaio e prima di essere imbottigliato fa un leggero transito (un mese) in barrique di primo passaggio. Il naso è suadentemente: melograno, rosa, carcadè, pesca, carne affumicata. In bocca e diritto e avvolgente con un tannino lieve. Una volta deglutito si fa ricordare a lungo.  Mi ha colpito subito questo rosato  trovandoci molte affinità con il sublime Rosé di Château de Pibarnon. Visto che è un 2012, il tempo ne acuirà ulteriormente la grandezza.

Ajanoa Primitivo di Manduria D.O.P. 2009

Da vigne di oltre 50 anni in Contrada Agliano in agro di Sava. La maturazione del vino avviene in contenitori di cemento vetrificati e interrati; poi una parte del vino è affinata (circa 10 mesi) in contenitori di Terracotta chiamati in dialetto “Capasoni”. Naso subito avvolgente e dolce al tempo stesso, confettura di prugna ma anche di fichi, uva passa. In bocca è potente e caldo ma incredibilmente delicato vista la gradazione (15 % vol).  Grande eleganza, compagno straordinario per gli gnummareddi (involtini d’interiora fegato, polmone, rognone stretti con il budello di agnello o capretto) cotti alla griglia o meglio al fornello come nella migliore tradizione pugliese.

 Capasonato Vino Rosso 28/29 anni in Capasone

Vino prodotto grazie all’assemblaggio di due differenti annate di Primitivo in purezza (1984-1985) lasciate riposare in tradizionali contenitori di Terracotta chiamati “Capasoni”. Nettare, termine abusato ma davvero non saprei come altro definire questo vino. Al naso note intense di frutta surmatura, ciliegia, prugna e fichi ma anche ginger e cioccolato. In bocca è potente per via dell’alcol (17,5 + 2,5 % vol) ma al tempo stesso morbido con una bella acidità che lo rende vivo. L’ho abbinato al Formadi Frant, formaggio prodotto in Carnia, risultato della mescolanza di diversi formaggi tipo “latteria” a differente livello di maturazione, 40-90/100 giorni, fino a più di 7 mesi, sminuzzati a fettine, cubetti e scaglie con aggiunta di sale, pepe e latte dal sapore particolare in cui il piccante è posto in contrasto con la sensazione di dolce. È stata una lotta tra Titani, un rincorrersi di sapori giocata per l’appunto sulle sensazioni di piccante e dolce fino a raggiungere l’unisono, magnifico!

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