Friulano (ex Tocai), facciamo il punto (terza e ultima parte)


Le vicissitudini e le difficoltà del Friulano (ex Tocai) sono note: politiche di penetrazione dei mercati (dopo il contenzioso per il nome con gli ungheresi) sbagliate se non scellerate, espianti a favore di vitigni più “vendibili” come la Glera e il Pinot Grigio. Viene da chiedersi se il grande autoctono friulano potrà resistere a questo sconquasso oppure sarà destinato all’oblio. La sensazione è che anche i produttori comincino a crederci sempre meno, ed paradossale se penso che Moreno Ferlat, giovane produttore isontino, al recente Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti di Piacenza, ha venduto la scorta di Friulano che aveva portato in pochissime ore, esaurendolo prima di ogni altro vino. Un po’ come era successo per i “Dialoghi sul Collio” ho voluto fare il punto, una sorta di monografia, chiedendo agli addetti ai lavori (giornalisti, enotecari, vignaioli, sommelier, ristoratori) percezioni e prospettive. In sostanza qual è il posizionamento del Friulano e cosa si potrebbe eventualmente fare per rilanciare (proteggere) questo simbolo della viticultura friulana; ecco cosa è emerso:

 Federico Graziani Sommelier professionista (Gualtiero Marchesi, Bruno Loubet, The Halkin Restaurant, Cracco-Peck, il luogo di Aimo e Nadia), giornalista e scrittore: il Friulano è una varietà camaleontica che si esprime con vini piuttosto semplici nella maggioranza dei casi ma che è capace di punte di eccellenza se vinificato con un’estrema cura. Si tratta di investire su rese piuttosto basse e sulle zone di collina in modo più maniacale rispetto ad altre varietà (specie quelle internazionali) che subiscono meno l’effetto “pianura” oppure l’effetto “rese alte”. Per produrre un grande friulano servono molte energie e non sono sicuro che sia questo il momento storico ideale per la sua rinascita. Gli esempi di eccellenza non mancano e sebbene siano numericamente pochi, segnano una strada difficile ma sicura. Più facile a mio avviso vedere il Friulano assemblato in uvaggi che ne consentono una più dinamica e ampia versatilità specialmente in abbinamento a Malvasia, Ribolla, Riesling e Sauvignon. Un alfiere del Friuli Venezia Giulia indispensabile per la rinascita della regione che però deve essere interpretato in maniera contemporanea.

 Umberto Gambino, giornalista RAI, degustatore internazionale, coordinatore regionale Guida Vini Buoni d’Italia, direttore del sito Wining: La qualità assoluta del Friulano non si discute. Altro che Sauvignon, Chardonnay, Pinot Bianco, Malvasia o Ribolla! Tutti vitigni e vini che in questa regione del Nord Est, particolarmente vocata per i bianchi, “riescono” davvero alla grande. Dopo aver apprezzato e assaggiato alcuni ottimi calici dell’ex Tocai, ritengo che la qualità generale sia fuori discussione, anzi. Migliora e promette di migliorare ancora. Il Friulano è diventato – secondo me – la vera punta di diamante della brillante batteria di autoctoni coltivati in Friuli Venezia Giulia. Basta citare una piccola ma significativa statistica (che chiunque può verificare): su 30 vini bianchi friulani premiati con le corone (il massimo riconoscimento) di Vinibuoni d’Italia Touring, l’unica guida che valuta e recensisce solo i vini da vitigni autoctoni, ben 14 sono da uve Friulano in purezza. Qualcosa vorrà pur dire. E’ la prova reale e verificata da eccellenti professionisti della degustazione che il bianco autoctono per eccellenza gode ottima salute. Sono sempre più numerosi i viticoltori avveduti e lungimiranti che lo valorizzano e continueranno a valorizzarlo. Senza far torto agli altri, ne cito solo tre, a titolo d’esempio: Venica & Venica, Guerra Albano e Adriano Gigante (fra l’altro presidente della Doc Colli Orientali del Friuli). Non starei perciò dietro alle cassandre del Friulano. Dovrebbe essere facile mantenerlo al primo posto, per qualità, fra gli autoctoni, anche se, per quantità di produzione potrebbe aver subito qualche colpo. Le caratteristiche tipiche, territoriali, di eleganza e bevibilità nel calice di questi ottimi Friulano sono assolutamente uniche e irripetibili. Impensabile che i produttori decidano di farsi l’autogoal da soli, smettendo di coltivarlo: sarebbe da stupidi! Ritengo, invece, si debba essere ottimisti sul futuro di questo vitigno. In tal senso, la nuova normativa varata a fine anno dal Ministero delle Politiche Agricole – che consente di inserire nell’etichetta l’indicazione della provincia e della regione di provenienza del vino – potrà aiutare non poco. Sia nel far conoscere meglio l’origine del vino (in Italia e all’estero) sia nel collocare meglio sui mercati il “brand” Friulano. Che, a differenza – per esempio – del “cugino” autoctono rosso (lo Schioppettino di Prepotto, vedi mio articolo su Wining ) è più facilmente spendibile, in quanto nome di regione, in una cartina geografica consultabile da buyer ed esportatori. La quadratura del cerchio, come al solito, fra grande qualità del vitigno e riconoscibilità del brand, ai fini delle vendite, è sempre quella: riusciranno i viticoltori friulani del Friulano a far gioco di squadra?

 Emanuele Giannone, sommelier, degustatore, collaboratore della rivista Porthos, scrive per Intravino: Nel far riferimento alla conoscenza e alla diffusione del fu-Tocai e delle vicende regolamentari che lo hanno investito, mi limito a esperienze personali nei due paesi produttori: cioè Italia e Slovenia. E mi permetto un moderato ottimismo: il guado del nome e dell’identità nuovi è da lungo superato, il rischio di confusioni è oramai ridotto, la cultura del Friulano quale vino “di territorio” ben radicata (e, ahimè, persino abusata in tante sue versioni assai poco “territoriali”). Il novero di produttori colti è sufficientemente ampio, e la concorrenza dei vitigni più vendibili e à la page è in realtà un problema delle produzioni seriali, per le quali “Friulano” è un brand più che un vino. Salvo per lo strumento promozionale, non vedo quale slancio potrebbero fornire queste alla differenziazione e alla miglior conoscenza di un vino in realtà denaturato, semplificato, adattato al gusto presunto dominante e al contenimento dei costi di produzione; vino la cui tipicità è dichiarata più che reale. Dico questo potendo permettermi di considerare il vino per il suo valore storico, culturale e al limite artistico, prima che per la sua forza commerciale: quel valore, e con esso l’identità, sono secondo me meglio difesi e promossi dai produttori di dimensioni minori che del Friulano conoscono il radicamento, le caratteristiche, le esigenze e il rapporto ai suoi territori d’elezione. Ciò posto, per una visione più ampia della questione vorrei segnalare un’interessante lettura di stampo meno romantico del mio, più concreta e mercantilistica: “Il Risveglio del Tocai. Le ragioni produttive e di mercato per il rilancio del prodotto, Milano, Franco Angeli, 2008”.

Simona Migliore, delegata provinciale Onav, degustatrice internazionale, collabora con il giornale on line di enogastronomia Winesurf: Argomento difficile e ostico. Il Friulano rappresenta la storia enologica del Friuli, rappresenta la vecchia e la nuova enologia. E i nostalgici continuano a chiamarlo Tocai. E’ proprio questo il punto: non si è riusciti a comunicare cos’è il Friulano per i produttori. Non si è riusciti a interpretarlo per i consumatori. Non è un vino immediato, ma è un grandissimo vino che evolve da un punto di vista olfattivo e degustativo in maniera esponenziale anche e soprattutto a distanza di anni. Ai concorsi si mandano sempre meno bianchi autoctoni e si punta su uvaggi o vini da vitigni internazionali…perché il consumatore sa già cosa aspettarsi. E poi perché il consumatore dovrebbe approcciare un vino sconosciuto che per il 75% circa viene venduto in regione, poco più in Italia e forse il 2% all’estero? Perché dovrebbe scegliere un vino che non conosce visto che in Friuli Venezia Giulia si produce di tutto e di più? Non esiste un obiettivo comune. Non esiste un interesse comune. Forse si dovrebbe avere la forza di fare una scelta. Il Pinot Grigio oggi regge l’economia di un’azienda e da qualche anno anche il Prosecco. Forse non si dovrebbe usarli come vini bandiera, ma utilizzarli per spingere il Friulano. Troppi vitigni, piantati senza tenere conto di esposizioni, esigenze, clima. Non si può pensare che un vitigno riesca bene ovunque e i francesi in questo insegnano. Il Friulano lo produciamo solo noi, è irripetibile e il Sauvignon del FVG è unico se a livello internazionale si è scelto il FVG per ospitare il prossimo Concorso Mondiale. Comprendo però le scelte “economiche” di un’azienda e con quelle ci si scontra.

Wayne Young responsabile marketing e comunicazione della cantina Bastianich: Leggendo la seconda parte dell’articolo “Friulano (ex Tocai) Facciamo il punto”, ho un paio di commenti: Riguardo Moreno Ferlat (un caro amico) l’idea di due versioni di Tocai è interessante ma a questo punto controproducente. Perché? Una delle problemi con Friulano è la mancanza di stile di vino riconoscibile e costante. Cioè, assaggi 8 diverse Tocai e trovi 8 stili diversi. Aromatico, pieno, magro, aromatico, ridotto, etc. Questa diversità crea confusione nel mercato dove il nome del vitigno sulla bottiglia non dice solo l’uva, ma anche un profilo del vino dentro. Chardonnay è quasi sempre pieno, rotondo e barricato. Pinot Grigio è quasi sempre fresco e leggero. Tocai non ha questa costante stile. Non sono d’accordo con l’idea di aggiungere un pizzico di Sauvignon al Tocai. Il profilo aromatico di Sauvignon tende di essere troppo esuberante e riconoscibile per il Tocai. Meglio Ribolla Gialla o Malvasia. Kristian ha ragione di dire che i produttori devono avere più fiducia nella nostra uva di fama. Sarebbe bello avere una forza sul mercato Newyorkese con 100 diversi produttori spingendo il loro Friulano nello stesso momento! Il problema viene dopo quando non c’è abbastanza prodotto nel mercato per soddisfare la richiesta, soprattutto se il pubblico si innamora di un piccolo produttore. Il Friulano non ha la massa critica per conquistare il mondo. Non può diventare il vino di moda come Gruner Veltliner. E con Guner Veltiner faccio il mio ultimo commento… La crescita esplosiva del Gruner Veltliner nel mercato Statunitense mostra un movimento di gusto, soprattutto nei posti più trendy: Verso l’acidità. Il Friulano è spesso troppo pesante, troppo amarognolo e troppo poco floreale per i gusti dei nuovi sommelier/opinion makers. Dobbiamo studiare le mosse geniale dell’Austria che ha creato un mercato mondiale, forte e in grande crescita per il Gruner.

Rodolfo Rizzi, presidente Assoenologi FVG e Direttore Generale Cantina Produttori di Cormons: Sono ormai trascorsi parecchi anni da quando, il “Tocai Friulano”, era considerato un vino di massa ed in osteria si preferiva chiedere un “Tajut di blanc” piuttosto che fare riferimenti al nome del vitigno. La produzione del Tocai Friulano, nei primi anni 80, era ai massimi storici, e il vino ottenuto, rispecchiava gli standard gustativi richiesti dal mercato di quel periodo. Erano i tempi dove il consumo procapite si aggirava attorno ai 90 litri e il vino veniva considerato come alimento indispensabile per la sopravvivenza. Oggi che, l’Unione Europea si è allargata, il “Tocai Friulano” è stato costretto, per le note vicende, a cambiare nome e chiamarsi “Friulano”. Con questo nuovo nome il “Friulano” si è presentato in un mercato attanagliato da una grave recessione dove, accanto ad una concreta crisi economica, si deve sommare una campagna mediatica (istituzionale) poco attenta alle reali esigenze del consumatore. É anche vero che il “Friulano”, in questi ultimi anni, ha conquistato importanti riconoscimenti qualitativi e qualche anno fa si è addirittura classificato quale migliore vino bianco d’Italia. Purtroppo, il Friulano paga, suo malgrado, quel “terremoto” viticolo scatenato dai vignaioli trevigiani scesi in campo decisi a salvare il loro vino principe: Il Prosecco. Per rendere gloria al Prosecco, vino storico che ha la sua massima espressione nelle colline di Conegliano e Valdobbiadene, il Friuli Venezia Giulia è stato determinante offrendo, su un piatto d’argento, il paesino di Prosecco (TS) quale legame di un territorio e il suo omonimo vino. Ecco, con questa semplice operazione, la Regione Friuli Venezia Giulia è diventata “terra di conquista”, da parte di molti imprenditori veneti, per coltivare i 3700 ettari di Glera assegnati alla nostra Regione. Questo radicale cambiamento, del nostro “Vigneto Friuli”, è avvenuto in tempi rapidissimi dando così uno scossone epocale alla nostra viticoltura (Prosecco e Pinot Grigio 50% dell’intera produzione enoica Regionale). Un sobbalzo che, grazie alla nostra cronica mancanza di programmazione agraria, ha visto l’estirpo di molte varietà, tra le quali il Friulano, per far spazio alla Glera. Purtroppo, in Friuli Venezia Giulia, quello che spaventa sempre più non è la disaffezione del consumatore verso una varietà piuttosto che un’altra, ma è l’isolamento di alcune DOC storiche a causa dell’ottusità che sta alla base del nostro DNA (fasin di besoj – facciamo da soli). Questa mancanza di apertura non fa altro che favorire e sdoganare quanti, soprattutto fuori Regione, stanno “leggendo” sia il mercato dei grandi numeri che delle piccole eccellenze. Per reagire a questa situazione bisogna innanzitutto prendere consapevolezza che siamo tutti viticoltori del Friuli Venezia Giulia (da Trieste a Sacile), per poi stilare quella preziosa programmazione che permetterà, nel prossimo futuro, di non portare altri vini all’oblio.

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