Soave avanti tutta


Si può dire che il Consorzio Tutela del Soave in questi anni ha fatto un ottimo lavoro? Con un’attività incessante e certosina, fatta con i produttori ovviamente, è riuscito a cambiare radicalmente la prospettiva del Soave: da vino anonimo a vino bianco tra i più importanti di tutta l’Europa settentrionale ergo del Mondo. Non vorrei scadere nell’agiografia consortile ma ogni anno l’Anteprima, o Soave Preview che dir si voglia, è, tra gli appuntamenti di settore, irrinunciabile. Nell’edizione 2017 si è parlato di biodiversità, cru, pergola, mineralità, spunti davvero caratterizzanti e fortemente identitari per il Soave.

La biodiversità

Quello del Soave è l’unico consorzio italiano che ha concepito la biodiversità non come obiettivo finale ma come sistema di misura, un vero e proprio termometro, in grado di valutare l’incidenza delle fasi produttive su terra, acqua, aria, in base al protocollo Biodiversity Friends, messo a punto nel 2010 dalla World Biodiversity Association. In questo modo la biodiversità diventa una sorta di “ponte” che gradualmente conduce le aziende produttrici, già impegnate in tema di rispetto dell’ambiente, verso il vero obiettivo finale: la sostenibilità dell’intero sistema produttivo. Questo modo di concepire la biodiversità ha permesso di ottenere nel 2016 l’importante riconoscimento di primo “Paesaggio rurale d’interesse storico” d’Italia e il conseguente inserimento nel “Registro nazionale dei paesaggi rurali d’interesse storico, delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali” istituito dal Ministero delle politiche agricole e forestali.

I cru

Vista l’importanza delle recenti modifiche del disciplinare di produzione, che prevedono l’inserimento dei cru con la definizione tecnica di “menzioni geografiche aggiuntive”, non poteva mancare un approfondimento in questo senso. Il percorso di studio e catalogazione dei cru è partito oltre 20 anni fa e ha permesso di certificare 64 vigne storiche. La degustazione condotta dalla Master of Wine Sarah Abbott e dal giornalista Alessandro Brizzi ha permesso di fare una sorta di viaggio proprio tra alcuni di questi vigneti storici, testando nello stesso momento anche la longevità del vitigno Soave. Tra gli assaggi memorabili un monumentale Soave Doc Classico “Ca’ Visco” 2002 di Coffele.

La pergola

Davvero entusiasmante il seminario sul sistema di allevamento a pergola. In primis una lectio magistralis del professor Attilio Scienza ci ha fatto scoprire l’ancestralità di questo tipo allevamento, le cui origini si perdono nella notte dei tempi; citando anche i Kalash, popolo pagano dell’Afghanistan, che angora oggi, dopo una vendemmia che noi definiremmo come minimo eroica, fa pigiare le uve esclusivamente ai bambini e ad adolescenti maschi. Il succo ottenuto è fatto fermentare e si beve giovane quando arriva il solstizio d’inverno: i Kalash si ubriacano, in una sorta di rito dionisiaco, per avvicinarsi alle loro divinità. Successivamente Federica Gaiotti, ricercatrice del CRA-VIT di Conegliano, ha dimostrato come il sistema di allevamento a Pergola sia davvero funzionale per il Soave.

La degustazione che ne è seguita, guidata da Maurizio Gily, direttore di Mille Vigne, e dal giornalista Walter Speller, era tesa a comparare vini diversi accomunati dal sistema di allevamento della pergola provenienti da differenti terroir italiani. Strepitosi tutti, ma proprio tutti, i vini presenti in degutazione. Dovendo obbligatoriamente fare qualche nome: Bianco IGT Vigneti delle Dolomiti “Largiller” 2007, Ermes Pavese con il Valle d’Aoste Blanc de Morgex et de la Salle DOP 2016, Franza Gojer Alte Reben Vernatsch 2016 e il controverso (non è una novità) Trebbiano d’Abruzzo DOC 2013 di Valentini. Per alcuni addirittura imbevibile; ovviamente de gustibus, ma non capisco mai se è una presa di posizione sincera oppure una manifestazione malcelata di snobismo; della serie mi si nota di più se dico che mi piace oppure se dico che era imbevibile? Per quanto mi riguardo quel Trebbiano 2013 è un gioiello, frutto della natura e dell’umano ingegno. Questi gli appunti di degustazione scritti di getto: Naso esplosivo, a livello di stupefacente, c’è il mondo. In bocca è teso, nervoso, vino di una bellezza assoluta.

Nell’attesa della degustazione serale, giusto per rendere il pomeriggio produttivo, c’è stata  la visita ad alcune cantine. Mi voglio soffermare sulla famiglia Gini. Vignaioli di straordinaria umiltà, capaci di raccontare in una mini verticale (2016, 2011, 2007, 2004, 1996, 1989) del loro Soave Classico, chiamato in maniera iniqua “vino base”, tutto il loro talento e le potenzialità del Soave.

La mineralità

A conclusione dell’anteprima non poteva mancare l’affondo sul tema del momento ovvero la mineralità.  Se ne parla ovunque, se ne parla a sproposito. Ma questa mineralità esiste? Convintamente dico sì, esiste eccome, ne abbiamo avuta la conferma ascoltando le parole e le esperienze di Salvo Foti e di John Szabo, autore di un’opera davvero complessa sui vini vulcanici ma soprattutto degustando 12 vini nati su suolo vulcanico. Come si potrebbe altrimenti definire se non minerale il sentore di pietra focaia, o la salinità del mare, o la pietra bagnata? In definitiva un vino di grandi prospettive: alcolicità mai elevata (12,5°), finezza e longevità, non resta che mantenere la calma e bere Soave.

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