Nel variegato panorama vitivinicolo veneto, esiste un territorio che meno di altri gode dell’attenzione della stampa specializzata e degli appassionati; un’area che va dalla pedemontana veneta alle isole della laguna veneziana, coprendo una superficie di circa 4.939 Km² e sviluppandosi sulle due province di Treviso e Venezia, è l’area del Il Consorzio Vini Venezia che racchiude ben 5 denominazioni: DOC Venezia, DOC Lison-Pramaggiore, DOC Piave e le DOCG Lison e Malanotte del Piave. Certo, le ragioni di questa mancata affezione sono molteplici, non ultima quell’ostinazione delle vecchie generazioni a privilegiare la quantità alla qualità, spesso da queste parti si è badato più a sbrigare l’ordinario, concedendosi raramente qualche sogno, ma le cose da qualche anno a questa parte stanno cambiando, sia grazie alla nuova generazione di viticoltori sia per merito del Consorzio, che con un attento lavoro di valorizzazione, promozione e diffusione delle denominazioni da un lato, e un lavoro di valorizzazione del distretto d’area rurale e dei percorsi culturali, enoturistici ed enogastronomici corredata da un’intensa attività di editoria dall’altro, sta facendo rinascere l’attenzione per le terre di quella che fu la Repubblica della Serenissima.

Autoctoni come raboso, incrocio Manzoni e Lison Classico (ex tocai), regalano spesso bottiglie appassionanti, ottime compagne per l’abbinamento con il cibo. Giusto per ricordare quello che la storiografia ci racconta, il Lison Classico (ex tocai), contrariamente alla legenda che lo vorrebbe di origine friulana, parrebbe essere proprio della provincia di Venezia e che lì vi sia arrivato dalla Francia nella seconda metà dell’800, trovando nella piccola frazione di Lison il suo ambiente naturale per diffondersi, con grande successo, in tutto il Friuli Venezia Giulia e nel Trevigiano. La denominazione Tocai friulano sarebbe quindi dovuta ad una errata interpretazione di chi registrò il vitigno, considerando quel lembo di terra del Veneto Orientale ormai Friuli. Questa è solo una delle innumerevoli storie che si potrebbero raccontare sui vini delle terre veneziane e un tomo di mille pagine non basterebbe, ma per brevità di racconto, mi concentrerò sul raboso, in particolare è la Docg Malanotte del Piave. Borgo Malanotte è un piccolissimo borgo medievale situato a Tezze di Piave, frazione di Vazzola (TV), terra in passato dominio della nobile famiglia dei Malenotti, che nel secolo scorso è stato la culla di una nuova interpretazione del raboso.

I vini degustati
Il raboso è caratterizzato da un elevato livello di acidità e tannicità che lo rende, ad un primo assaggio, molto particolare, con una caratteristica pungenza che ti invita a dedicargli del tempo, a cercare di capirlo. Forse è proprio per questa caratteristica che una delle due ipotesi sulla sua etimologia lo associa al termine dialettale “rabioso”, cioè rabbioso, spigoloso. Altra ipotesi, mai provata, è l’omonimia con il torrente che scorre nel Quantier del Piave, il pianoro delimitato a sud del fiume Piave e a nord dai rilievi collinari che caratterizzano la Marca Trevigiana. Sono convinto, assaggio dopo assaggio, che la prima ipotesi sia in assoluto la più veritiera. In vigna il raboso, grazie alla sua buccia abbastanza spessa, matura tardi, è una delle ultime uve ad essere raccolte, arrivando addirittura a novembre con un lento processo di disidratazione naturale in pianta. Un vino di terre spoglie, nebbia e bruma, dal grande fascino se lo si sa aspettare.
Il Malanotte del Piave invecchia nelle cantine dei produttori almeno tre anni, di cui dodici mesi in botte e quattro mesi in bottiglia, ma risultati più lusinghieri si raggiungono almeno dopo 5 anni di affinamento.
Affascinante non è solo il momento della raccolta del Raboso, ma anche il sistema tradizionale di allevamento (ora purtroppo in disuso) a cui si è legata la sua massima diffusione nel secolo passato. È alla fine del ‘700 che i fratelli Bellussi di Tezze di Piave hanno inventato un sistema di allevamento a raggi per le viti diffuse all’epoca, in seguito definito appunto “bellussera”. Questo sistema per cui la vite viene maritata ad una pianta di sostegno, solitamente il gelso, ha caratterizzato per lungo tempo la campagna trevigiana e ancora oggi in queste zone ne esistono alcuni esemplari centenari, principalmente legati alla produzione del Raboso.

De Stefani Malanotte del Piave Docg 2015
Il raboso è vendemmiato a fine ottobre con successivo appassimento di una parte delle uve. Il vino matura in barrique per 36 mesi e successivamente 18 mesi in bottiglia. Al naso l’impatto con il frutto è seducente, nitido nei profumi di ciliegia sotto spirito, viola appassita, confettura, cioccolato e tabacco. In bocca è potente, vibrante con un tannino ancora in cerca di equilibrio. Richiama l’abbinamento con la selvaggina in salsa peverada, come nella migliore tradizione locale.
Ca di Rajo Notti di Luna Malanotte del Piave Docg 2013
Vendemmia a fine ottobre. Il 70% delle uve viene surmaturato in pianta e il 30% viene appassito in fruttaio per 40 giorni. Affina per 36 mesi in botti di legno da 12 hl per le uve surmature in pianta e 24 mesi in barriques per le uve passite in fruttaio, successivamente altri 6 mesi in bottiglia prima della vendita. Il tempo, come dicevo, dona al raboso più eleganza, infatti il frutto la naso è sì penetrante, ma più delicato. Le note sono di ciliegie sotto spirito, confettura, amarena, gelsomino, cioccolato, fa capolino una leggera speziatura (pepe). In bocca l’attacco è potente con un tannino importante, in questo caso però il legno è riuscito ad arrotondarne il gusto. Agnello dell’Alpago con polenta di mais sponcio e selvaggina molto speziata per l’abbinamento con il cibo. Piccola nota a margine, Ca di Rajo utilizza ancora come sistema di allevamento l’antica Bellussera.
Antonio Facchin “Unno” Malanotte del Piave Docg 2010
Vendemmia a fine ottobre, primi di novembre. Il 30% delle uve viene lasciato in appassimento sui graticci e pigiato a fine gennaio. 24 mesi di acciaio e poi 36 mesi in botte grande, 80% rovere Allier e 20% Slavonia. Affinamento ulteriore di 12 mesi in bottiglia. Rispetto ai due campioni precedenti, al naso le note di confettura di ciliege sono più intense, la speziatura è più netta, caffè e leggera vaniglia. In bocca pare entrare morbido ma poi il tannino è sempre lì, mai domo, anche se stemperato dall’invecchiamento, chiude molto lungo con una leggera nota acidula. Abbinamento con la cacciagione sempre ben speziata, ma si potrebbe tentare un azzardo con il cioccolato fondente al peperoncino.
La Storia della Bellussera
Per le foto e il video della Bellussera ringrazio il Consorzio Vini Venezia www.consorziovinivenezia.it
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