Friulano (ex Tocai), facciamo il punto (seconda parte)


Le vicissitudini e le difficoltà del Friulano (ex Tocai) sono note: politiche di penetrazione dei mercati (dopo il contenzioso per il nome con gli ungheresi) sbagliate se non scellerate, espianti a favore di vitigni più “vendibili” come la Glera e il Pinot Grigio. Viene da chiedersi se il grande autoctono friulano potrà resistere a questo sconquasso oppure sarà destinato all’oblio. La sensazione è che anche i produttori comincino a crederci sempre meno, ed paradossale se penso che Moreno Ferlat, giovane produttore isontino, al recente Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti di Piacenza, ha venduto la scorta di Friulano che aveva portato in pochissime ore, esaurendolo prima di ogni altro vino. Un po’ come era successo per i “Dialoghi sul Collio” ho voluto fare il punto, una sorta di monografia, chiedendo agli addetti ai lavori (giornalisti, enotecari, vignaioli, sommelier, ristoratori) percezioni e prospettive. In sostanza qual è il posizionamento del Friulano e cosa si potrebbe eventualmente fare per rilanciare (proteggere) questo simbolo della viticultura friulana; ecco cosa è emerso:

Moreno Ferlat, enologo, vignaiolo, proprietario della cantina Silvano Ferlat: La mia visione del Tocai Friulano e del suo cambio di nome è stata vissuta e percepita in 2 realtà distinte, agli antipodi. L’azienda per cui lavoro molto grande e con visione internazionale e l’azienda di famiglia a conduzione famigliare e decisamente territoriale. Unendo quindi le due esperienze credo di poter dire che il problema di questo grande vitigno non sia solo dato dal cambio del nome che certamente ha influito, ma è anche dato da un cambio della “moda del gusto” a favore di vini di più semplice approccio (grado alcolico minore) con un profilo di gusto più acido della media dei Friulani attuali e dove la caratteristica nota amara non sia così in evidenza o comunque molto attenuata. Va detto che il Friulano è sempre stato e lo è ancora la base di tutti i grandi uvaggi bianchi del nostro territorio e che al contrario del Friulano riscuotono richiesta immutata. Credo che sia dovuto però all’apporto dei vitigni internazionali usati come spalla acidica ed aromatica, la ricerca quindi di un vino più completo e che risponda maggiormente all’evoluzione del gusto. La via giusta a mio avviso per produrre i “grandi numeri” è unirlo a vini del territorio (malvasia istriana o ribolla gialla) e a vini dal respiro internazionale (penso a sauvignon e chardonnay) in modo da smussare le caratteristiche non apprezzate ed amplificare le grandi peculiarità varietali. Un altro dato per me evidente è che stando le attuali condizioni il Friulano non ha grande richiamo verso il consumatore di massa mentre è decisamente ricercato dal bevitore esperto e che conosce il vitigno per quello che può dare anche singolarmente (ne ho avuto la riprova al Mercato Dei Vignaioli Indipendenti di Piacenza di novembre scorso). Quindi visioni diverse e diversi modi di produrre uno stessa grande uva:

  • vinificazione in bianco e solo acciaio con magari una parte di malolattica per un vino dal respiro internazionale spalleggiato da un pizzico di sauvignon
  • vinificazioni con uva molto matura anche “estreme” con macerazione e legno per cercare l’anima del vitigno ma sapendo con chiarezza che i numeri qui non si possono incontrare

Liliana Savioli Giornalista, sommelier, degustatore internazionale, coordinatore della Guida Vinibuoni d’Italia: Il tocai… il friulano. Due nomi per un solo vitigno e un solo vino. Tutti sappiamo come è andata la storia della perdita del nome. Per anni, chi di dovere, aveva la possibilità di vincere la battaglia per il mantenimento del nome originario e non l’ha fatto. Mi chiedo PERCHE’? Probabilmente perché non era così basilare. Non era basilare il nome come non era basilare quel vitigno e pertanto quel vino. Si, è vero, se ne produceva molto ma… di qualità? Non proprio, a parte delle eccezione eccelse. Il problema sta tutto qui. Per moltissimi anni è stato un vino da vendere SFUSO, per utilizzarlo come vino da taglio, da vendere nelle osterie come vino della casa, per l’ombretta, il tai ecc. ecc. Sono stati espianti ettari e ettari di tocai/friulano è vero. Ma in che zone? Nelle zone dove 25 anni fa era stato piantato e coltivato in forma estensiva, lavorandolo a macchina, con grosse rese quintali/ettaro. Vigneti oramai esausti, sfruttati fino all’osso. Sicuramente non sono stati spiantati i vigneti storici del Collio e dei Colli Orientali che hanno sempre prodotto dei grandi vini, venduti in bottiglia, di altissima qualità. Pertanto non lo considero un fattore negativo, anzi. Meglio poco e buono piuttosto che tanto e di incerta qualità.

 Paolo Ianna, Coordinatore regionale Guida Vini Buoni d’Italia, docente dei Master Vino Slow Food, degustatore internazionale: “ Sembra che il detto “ Parlatene bene, parlatene male, l’importante è che se ne parli…” a cui si fa e si è fatto ricorso negli ultimi 50 anni, abbia funzionato un po’ per tutti, attori, attrici, politicanti e imbonitori televisivi, spacconi da luna park, opinionisti sportivi, i Mac Donald, Master Chef , Balotelli e perfino le cosidette bibite spazzatura che contengono più zucchero e coloranti che acqua, hanno portato a casa qualcosa… Per il Friulano, ex Tocai, invece sembra non essere efficace, questa facile e abusata frase. E si che se n’è parlato e scritto molto e piuttosto a lungo. Ricordo tutti i bla bla sul diritto di poterlo continuare a chiamare Tocai, mentre era evidente a tutti che le cose non stavano esattamente così. Qualcuno, ancora oggi, sostiene che non può avere successo per colpa del nuovo nome che sarebbe banale, quanto un vino che si chiamasse Toscano, Campano o Calabrese… Viva la libertà di pensiero e di espressione. Qualcun’altro sostiene che manca la comunicazione, forse è vero, ma dobbiamo ricordare che il Tocai era conosciuto da quelli che lo apprezzavano e lo cercavano, quando la “bacchetta magica” chiamata comunicazione non andava oltre il pratico passaparola. Il Friulano odierno, nonostante gli impegnativi investimenti orientati alla sua divulgazione, non riesce a decollare, non riesce a diventare un “fenomeno”, non riesce a sedurre e conquistare, arranca e non trova una collocazione di rango nel grande e popolatissimo atlante del vino bianco italiano. Eppure le versioni di cui innamorarsi non sono poche, anzi. Le riduzioni che in passato ne erano il vero “descrittore aromatico”, sono fortunatamente scomparse grazie all’impegno dei produttori che in questo vino credono profondamente e credo che siano molto poche/pochissime le aziende vinicole che non producono Friulano in tutta la regione Friuli Venezia Giulia ad eccezione delle realtà che operano nella zona del Carso. Il Pinot Grigio, mi pare sia storicamente il vitigno a bacca bianca più diffuso della regione. La diffusione della Glera e di conseguenza la produzione del Prosecco vengono visti da molti (vedi enofili/appassionati nostalgici) come qualcosa di irrispettoso, di sacrilego, qualcosa da cui difendersi, quasi fosse un virus o una sala di slot machine, ma non credo che piantando Friulano ci si programmi un futuro finanziariamente tranquillo, questo dovrebbe indurre a capire le scelte dei produttori. Da sincero estimatore del Friulano, spero che trovi la via del successo mondiale, ma temo che al momento si debba accontentare di essere nei nostri cuori di friulani in carne e ossa. Epperò… il cartello esposto a Piacenza da Moreno Ferlat non è frutto di fantasie e potrebbe indicare una positiva inversione di tendenza… chissà, incrociamo le dita.

 Kristian Keber, vignaiolo, proprietario della cantina Edi Keber: Per me è un po’ difficile parlare di Friulano, dato che l’abbiamo abbandonato per dare posto a un vino territoriale come il Collio. Però, c’è da dire che nell’ azienda Edi Keber è sempre stata la varietà più coltivata dal dopoguerra e anche la più apprezzata. L’anno prima di smettere di produrre Tocai Friulano in purezza era il 70% della produzione totale e credo nessun azienda in regione ne ha mai fatto così tanto in proporzione. Ancor oggi continuiamo a piantare moltissimo Tocai F. anche perché è la varietà che nella mia zona si adatta meglio al terreno e poi rappresenta il gusto locale (talvolta all’estero potrebbero non capire alcune sue note rustiche o la leggera parte amarognola ma ciò a me poco importa- se vogliono vini standard, lo chardonnay c’è in ogni dove e non serve rovinare il nostro amato Tocai). Per quale motivo il Friuano non sta andando? Credo che la risposta sia molto facile, perché sono pochissimi i produttori di vino che ci credono; alcune piccole aziende che amano questa varietà possono venderla a occhi chiusi. Perché un vino diventi importante non è il consumatore che deve apprezzarlo ma è soprattutto il vignaiolo che deve battersi per la sua crescita. Gravner ha capito che la Ribolla è la varietà che da ottimi risultati a Oslavje, ci ha creduto ed è diventata importante. Esempi simili nel mondo ce ne sono tantissimi! Se poi accade su territori interi ancor meglio! Finché sarà il consumatore a dettare il gusto al contadino non andremo da nessuna parte! Se oggi pianto una vigna, deve durare almeno 50 anni quindi devo avere alcune idee chiare. Alla domanda Il Friulano non va? Rispondo facciamolo andare! Perché quando un produttore va a New York non porta ad assaggiare solo il Friulano e lascia stare il solito e facilmente proponibile Pinot Grigio? E proviamo a pensare a 100 produttori friulani che sponsorizzano solo il Friulano in tutta New York? Marketing migliore di qualsiasi rivista!! Poi tutto arriverà. Mio padre e io abbiamo scelto di puntare sul Collio in quanto crediamo di più al uvaggio delle 3 varietà autoctone! Questa è l’unica storia della nostra zona ed enologicamente parlando ha anche molto più senso. Collio poi vuol dire collina cioè costi di lavorazione maggiori ma anche terreno diverso e vini con caratteristiche né meglio né peggio di altre, ma differenti.

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